mercoledì 16 marzo 2016

Il turismo è una cosa seria per seri professionisti e non per sprovveduti o incapaci

Se fosse esistita o esistesse una università che aiuta a comprendere i buffoni, beh; sicuramente mi sarei laureato... io da solo non ce la faccio proprio.

Qui in Liguria emettono dati con la smania di una volta al dì, se però vai a cercare le loro pezze d'appoggio che autentifichino la veridicità di quanto emesso; scordatelo pure che tanto non ne trovi.
In poche parole ti devi fidare del politico di turno che li emette, e di cui ben si conoscono le percentuali e la priorità nel dichiarare il vero.
Da tempo affermano d'essere in grado di fornire i dati sulle presenze turistiche dopo alcuni giorni (all'incirca 15 gg.) ma se vai a vedere gli ultimi che hanno inserito nell'osservatorio del turismo regionale, ecco che l'ultimo che ti appare è quello di ottobre 2015... e in questo momento siamo al 16 marzo 2016... che poi non è manco colpa loro ma di chi li amministra.

Mentre anche il dare i dati dopo 15 gg., agli operatori del settore, non serve praticamente ad una mazza fionda.
I dati sulle presenze sono importanti “solo” se li dai ogni santo giorno e “solo” se sono visibili a tutti, da cui l'operatore può immediatamente...

Ma ora un po' di storia.

Il sapere, in qualsiasi momento della giornata, quante presenze turistiche ci sono in Italia (in qualsiasi paesino) in quel dato minuto o secondo, conoscere quanti visitatori si hanno da tutto il mondo e gli outbound, non è difficile e addirittura è anche banale; basta solo organizzarsi; ma probabilmente nessuno lo vuole, perché così ci si possono condire le “balle” che più l'aggrada.
Il bello, o se preferite il brutto, è che il produrre dati certi con una precisione certosina, non costerebbe, in fatica, una benemerita cippa.
Ma vai a dirglielo a ‘sti campioni del nulla.

Eppure siamo inondati dalle statistiche e da dati che sul turismo c’azzeccano veramente poco.
Su ogni sorta di argomenti ci somministrano numeri di ogni specie e raramente abbiamo il tempo di chiederci che cosa vogliano dire (se non, talvolta, nei casi vistosi in cui sulla stessa cosa si pubblicano e si diffondono dati completamente diversi).
Anche molte notizie e valutazioni che non sono esplicitamente “numeriche” derivano da qualche specie di dato statistico che non è neppure citato, perciò si rischia di crederci senza sapere su che cosa è basata un’opinione troppo spesso presentata come se fosse un fatto o un’incontestabile verità.
Spesso anche chi cita la fonte ci invia dei dati o delle statistiche “false”, che quasi sembra che si siano messi d’accordo a priori.
C’è chi si diverte a fare statistiche bizzarre, su argomenti futili e inutili, e sarebbe solo una curiosità se in quel modo, con ogni sorta di errori e approssimazioni, non si inquinassero anche i pettegolezzi e le mode.
C’è chi si diverte a propalare numeri completamente inventati, “per vedere l’effetto che fa”, e se ne sta incuriosito a vedere quanti ci cascano (come fanno gli inventori di “leggende metropolitane”, di cui alcune nascono per caso, ma altre sono seminate apposta per verificare la credulità non solo dell’umanità in generale, ma anche dei grandi sistemi di cosiddetta informazione).
C’è poi chi ci “marcia” e quelle sono le statistiche e i dati peggiori.
Infatti gli unici che traggono beneficio da queste “panzane” sono solo chi li ha emessi; a volte per farsi bello, altre per far vedere che il proprio lavoro è stato ben fatto.
E pertanto si mantiene il “careghino” a scapito del sudore degli altri, che con l’arrivo di questi dati non ci capisce più una mazza.

Ma le statistiche e i dati sono una cosa seria che se usate bene, sono uno strumento di notevole utilità.
Lo sa per esperienza chi, come me, si è trovato molte volte a doversene servire per motivi di studio e di lavoro.
E poiché ne deve trarre conseguenze significative, è costretto a capire come funzionano, e perciò ad approfondire l’origine e la natura dei dati.
Spesso scoprendo che il significato è molto diverso da quello che sembra (o che i numeri sono privi di significato ed è necessario non tenerne conto per non cadere in pericolosi errori).
Così ho imparato molto e continuo a imparare.
Non dal punto di vista di chi produce dati, ma da quello di chi li usa per trarne deduzioni concrete. E se non vuole sbagliare deve capire bene qual è l’origine dei numeri e come si possono interpretare.

Perfino uno come me, ignorante e impreparato nelle sottigliezze delle formule e dei calcoli, è affascinato dall’evoluzione degli studi sull’infinitamente grande e sull’infinitamente piccolo, dalla molteplicità di scoperte nella fisica, nella biologia, eccetera; ma quello che più m’interessa è poterli programmare e quindi ragionare per il turismo.
Un’attivissima, imperversante fabbrica di errori è la fretta. Dati e statistiche (come ogni sorta di informazione) richiedono verifiche attente. Accade che l’ansia di essere veloci, di “dare la notizia” o di decidere senza approfondire, porti alla diffusione di affermazioni infondate, talvolta grottesche, o provochi scelte sbagliate che poi è faticoso correggere.
La stessa fretta induce a copiare, cioè a ripetere ciò che ha detto o fatto qualcun altro, senza avere il tempo o la voglia di controllare. 
Così gli errori si moltiplicano e continuano a riprodursi per giorni, o mesi, o anni, fino a diventare un “patrimonio culturale” di assurdità.

Non è vero che gli struzzi mettono la testa sotto la sabbia (se fossero così stupidi, a quest’ora sarebbero estinti). Ma lo fanno troppo spesso gli umani, per fretta, distrazione o superficialità.
A peggiorare le cose c’è il linguaggio con cui si interpretano o si descrivono i dati. Spesso afflitto da manierismi che ne deformano il significato. Per esempio accade di leggere o sentir dire che “tutti” fanno o pensano qualcosa. Con un po’ di attenzione non è difficile scoprire che quei “tutti” sono pochi – o che una certa “media”, chissà come calcolata o immaginata, non riflette alcuna persona o situazione reale.
Fra i manierismi c’è anche l’uso (e abuso) dell’aggettivo “esponenziale”. A parte il fatto che la parola ha un significato preciso, raramente applicabile a una crescita o a una tendenza, la si usa a casaccio per ogni sorta di vicende il cui andamento non somiglia neppure remotamente a un “moto uniformemente accelerato”.
Un’altra terminologia superficiale (quando non è intenzionalmente ingannevole) è quella che dice “vola” quando qualcosa aumenta dell’uno o due per cento o “crolla” quando scende di una altrettanto modesta misura.
Un trucchetto largamente usato è il piccolo avverbio “ben”. È sostanzialmente inutile, perché i numeri, quando hanno un significato, sono chiari da soli. Ma comunque è un’enfasi spesso deformante.
Se qualcuno ci dice che un bosco ha “ben mille” alberi, vuol farci intendere che è un bosco importante e che altri (quali non si sa) ne hanno meno. Se invece dicesse che ne ha “solo mille”, vorrebbe farci pensare che sia un bosco piccolo (in confronto a cosa?) o che abbia pochi alberi di quella specie. Spesso quelle “paroline” sono inserite a caso, senza alcuna base che ne giustifichi il significato.

Questi sono solo alcuni di tanti possibili esempi. Fra manierismi e “modi di dire”, usi banali o deformanti del linguaggio, deduzioni arbitrarie o infondate, il problema non è soltanto nelle statistiche, ma anche nel modo di interpretarle e spiegarle. E quando (come succede spesso) le spiegazioni sbagliate si accumulano con le inesattezze dei dati il risultato è una moltiplicazione di insensatezza.
Vuol dire che siamo irrimediabilmente confusi, in balia del pressapochismo e della disinformazione?
Per fortuna no, e per cominciare, il passo fondamentale è una sana diffidenza fintanto che non saranno finalmente più precisi.
Sempre che lo vogliano però.






2 commenti:

  1. C'è da comprendere un buffone? Venga fuori qualcuno che da solo non ce la faccio a farcela!

    E basta! ^_^

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  2. Se trovi quella università avvisami che mi ci iscrivo anche io.

    :-DD

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