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venerdì 20 agosto 2010

La "Sagra" della patata (tubero)

Doppi sensi a parte, quella della patata è la sagra più diffusa in Italia.
24esima edizione di là, 35esima di qui e se giri l’angolo trovi anche quella che ha passato le tre cifre.
Festa della birra, sagra del pescatore o quella degli gnocchi, poi la sagra dei pici oppure dell'oca, del pollo, dei funghi porcini e poi le cantine aperte, del fritto di pesce o zuppa e fagioli… e adesso basta qui, sennò ci vogliono le pagine della Treccani.
Ma chi paga?
Noi naturalmente, anche quelli che alle sagre non ci vanno.
E i ristoratori?
Ve lo dico dopo.
In tempi di crisi e di tagli agli sprechi i Comuni sono pronti a rinunciare a qualsiasi cosa, ma non a un bel panino con qualcosa dentro.
C’è il Sindaco o il Governatore che piangono miseria per l’istruzione o per la mancanza di fondi per le politiche sociali, ma un buchino nel bilancio comunale si trova sempre per fare spazio alla sagra del paese, se poi è quella della patata, avanti, armiamoci e … partite.
In altre parole, nemmeno la crisi è in grado di fermarle.
A Lariano, paese dei Castelli romani famosissimo per il pane, hanno deciso di fare quella del fungo porcino, però un pochino in anticipo rispetto alla raccolta.
Va a finire che i funghi sono si gustosi ma non proprio autoctoni, almeno a giudicare dai “tir” che arrivano dalla Slovenia durante i giorni della manifestazione.
Quello che non ammazza ingrassa e il “boletus” avrà anche la carta d’identità taroccata, ma sempre porcino è.
Che la crisi del carciofo a Sezze sia cosa reale è dimostrato dalla recente delibera dell’amministrazione comunale che ha stabilito degli incentivi da mille euro l’uno per cinquanta aziende che si impegneranno a produrre come Unione Europea comanda … però la sagra c’è.
Che dire di quella di Meda dove 6 mila euro sono finiti alla sagra locale del pesce (pure se mari e laghi non sono di certo dietro l’angolo).
Rimanendo in collina, un’aiutino arriva anche a Maenza quando la natura non si prodiga per fornire la quantità necessaria di ciliegie per la sagra di maggio. Ma se il prodotto non c’è, o quanto meno è di nicchia, perché accanirsi con la più popolare delle promozioni?
La domanda deve essersela posta anche l’assessorato la turismo laziale che ha chiuso i rubinetti.
Ipotizzando un contributo di circa 10.000 euro (media), sul suolo nazionale fa qualcosa come 80 milioni di euro.
Senza contare che altri finanziamenti arrivano dalle Regioni, Provincie ed enti locali vari. E che spesso le amministrazioni mettono a disposizione locali, illuminazione pubblica, polizia locale per l’ordine pubblico eccetera eccetera.
E a pagare è sempre Pantalone; cioè noi.
Tutte le iniziative sono legittime, per carità, ma perché deve pagarle sempre il contribuente?
Non si potrebbero gestire diversamente come unione dei ristoratori locali o quant’altro?
Infatti è rivolta al grido di concorrenza sleale, cibi scadenti, cuochi fai da te e prodotti importati.
I commercianti di gran parte d’Italia sono in rivolta contro il proliferare incontrollato delle sagre.
A siena la ribellione è capeggiata dal presidente provinciale della Fiepet-Confesercenti, Gaetano De Martino: “Per i commercianti è insopportabile la concorrenza delle sagre che hanno costi abbattuti: dall’illuminazione allo smaltimento dei rifiuti rispetto a chi deve mantenere un negozio. Le iniziative proliferano indiscriminatamente e il legame con il territorio è sempre più debole.
E’ il caso della sagra del calamaro gigante della Manziana, cittadina di 6mila anime ai margini dei monti Cimini nel Lazio, trasformata nell’occasione in sagra del calamaro fritto. Qual è il nesso con la Tuscia, famosa per i butteri e la carne maremmana?”
Per rimettere ordine a tutto questo sarebbe sufficiente un regolamento regionale, limitando a non più di dieci giorni, non consecutivi, le autorizzazioni per la somministrazione di bevande e alimenti, il rispetto delle norme di sicurezza nei confronti dei lavoratori impiegati, nonché le disposizioni in materia igienico-sanitaria, e se poi ci mettiamo a parlare delle non retribuzioni per i “volontari” eccetera eccetera, la “cosa” si fa lunga.
Dulcis in fundo … l’organizzazione dovrebbe essere completamente privata e non soggetta ad aiutini comunali, provinciali o regionali.
Eccheccavolo!
E la Brambilla?
La “Sciura” Brambilla la senti “solo” quando si parla di gatti, cani o animali in genere … e per dare qualche statistica o dati che “solo” lei conosce … che “naturalmente” vengono “perentoriamente” sconfessati dai fatti.
Con l’aiuto “involontario” di Francesco Cremonesi, Maria Corsetti e Stefano Vladovich.

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