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martedì 18 ottobre 2011

Perchè in Italia c'è sempre più la fuga dei "cervelli" ?

Sono andato via (oltre 40anni fa) perché nessuno mi ha detto: “Cosa vai via a fare che non hai nemmeno 18anni”.
Sono andato via perché l’Italia era governata da over 70/80 che non pianificavano il futuro perché era un futuro che tanto non avrebbero mai visto.
Sono andato via perché quelli più giovani non avevano idee per progettarne uno migliore e quelle poche che trovavano erano stoppate dai “vecchi” con la stupida frase: “abbiamo sempre fatto così, perché vuoi cambiare?”.
Sono andato via perché non passava giorno che non ci fosse uno sciopero che fermava o rallentava la produzione degli altri; poiché credevo e ancora lo credo, che i miei diritti dovessero venire dopo i miei doveri e soprattutto quelli del rispetto altrui.
La vita poi, poche balle, mi ha insegnato che è proprio così.
Sono andato via perché speravo che altrove le cose andassero meglio.
Sono andato via perché sapevo che altrove le cose andavano meglio.
Sono andato via perché nel mio Paese non esistevano (o molto poche) delle ideologie come il rischio, passione e coraggio.

Sono andato via perché altrove queste ideologie esistono; eccome se esistono.
Sono andato via perché il successo e l'apprendimento sono uno stato mentale. Se fai il pittore e' fare un capolavoro, se fai il medico e' salvare vite. Per me il successo era ed è, imparare a fare il turismo per dare agiatezza al settore e costruire del nuovo lavoro, per poi trasmettere agli altri la maturata esperienza.
Qui (?), per carità, lasciamo perdere ch'è meglio, tutti sanno già tutto o almeno se lo credono.
Sono andato via perché nelle altre nazioni esiste il “merito”, mentre in Italia l’è solo un’utopia.

Sono andato via perché volevo "crescere" senza aver bisogno di calci nel culo e per poi non dover incontrare lo sguardo di un sottoposto o un subalterno, ma più bravo e migliore di me.
Sono andato via perché all’estero avrei guadagnato molto di più (in palanche e in esperienza).
Sono andato via perché la paura è il grande freno in qualsiasi progetto di cambiamento di vita, e io non volevo e non voglio avere paura; al massimo un timoroso ma grande rispetto di quella degli altri.
Sono andato via perché sentirsi italiani spesso non basta.
Sono andato via perché altrove non mi sono mai sentito straniero, come invece mi sento nella mia stessa Patria.
Sono andato via perché all’estero credevo di poter tranquillamente parlare sia con i Re che con i barboni.
Sono andato via perché all’estero sono riuscito a parlare sia con i Re che con i barboni; e questo a prescindere dal mio e dal loro conto corrente in banca.
Sono andato via perché rispettavo la gente di tutte le razze, mentre qui nessuno lo faceva con me nella stessa maniera.
Sono andato via perché alle sette del mattino nessuno sorrideva; e chi lo faceva, passava per scemo.
Alla moda del: “ma che cazzo c'avrai da sorridere”.
Sono andato via perché Tizio sparlava sempre di Caio, mentre Sempronio malignava sugli altri due.
Ora dopo molti anni sono ritornato, ma da allora, cos’è cambiato?

martedì 8 febbraio 2011

Porto e turismo come priorità per il rilancio della Liguria. Ma va?

Neanche non l’avessi già detto o non l’abbia pregato milioni di volte.
Sono anni che quasi giornalmente ricevo degli inviti (e-mail) per ascoltare Tizio, Caio e Sempronio sulle disamine delle problematiche del turismo locale e nazionale.
Che anche la mia buca delle lettere fa egregiamente la sua parte.
E per togliermi il “fastidio”, dopo un po’ ho provato a richiedere, sempre molto gentilmente, la cancellazione del mio nominativo dai loro file; ma nulla, non c’è niente da fare.
Ogni giorno è la stessa storia.
Capisco che c’è anche di peggio e che questo mio piccolo problema non sia la morte di nessuno, ma scusate, ne ho due bocce così.
Non è tanto per la seccatura di cestinare il mal (del mail) ricevuto, bensì il leggere che degli emeriti professionisti (soprattutto politici) di tutt’altri settori e che del turismo ne sanno ben poco (però guai a dirlo), si cimentino in analisi che già mal riescono a chi lì ci lavora o da vicino lo segue.
Non contiamoci balle, i miserrimi risultati lo affermano nonostante il BelPaese eccetera eccetera … e la colpa è sempre degli altri (dicono loro).
Il problema è che da questi (sul turismo) si ascoltano le medesime cose e quindi il risentirle ancora una volta senza mai trovare la soluzione più ovvia …; beh, credo che basti e c’avanzi.
Infatti, abbiamo già dato.
Ieri, quando ho ricevuto l’ultimo (ci spero tanto) invito, ho dato un’occhiata a tutto l’ambaradan sopra descritto e mi sono fatto la solita dose di sangue amaro.
Presiede Tizio, parleranno Caio e Sempronio e Vattelapesca chiuderà la bella riunione sul turismo e sul porto di Genova.
Di esperienza nel settore (forse) hanno la settimana bianca fatta a Limone Piemonte, i 15 giorni di ferie su di un litorale ad est o ad ovest di qualche mare o golfo, o i tre famosi giorni (full immersion) sui barconi della Senna; gli ultimi poi, gli danno quel non so che, di grande esperienza internazionale.
Capito perché mi c’incazzo e non li voglio più sentire e vedere?
Anzi che dico, gli inviti erano due e per lo stesso “confronto” che si dovrebbe svolgere il prossimo 12 febbraio all’Hotel Bristol di Genova con la causale, “Porto e turismo come priorità per il rilancio della Liguria”.
A mò?
Sono quarant’anni che qui non si parla d’altro e il risultato ve lo lascio immaginare.
Allora mi sono deciso e ho scritto due cosette a queste signore/i che sono rimaste nella dottrina dell’educazione, per carità, ma anche per dare una “sferzata” al trito, ritrito e al già detto e sentito.
Insomma, una provocazione “costruttiva”.
Il primo che ha risposto ha letto e pensato e poi di rimando m’ha scritto:
Caro sig. Ardoino
ci dispiace averla importunata con il nostro invito, ma credo di interpretare dalla sua risposta che i temi trattati dal nostro incontro le stanno molto a cuore. il parter di interventi preordinati riguarda
principalmente il momento della "portualità" perchè riteniamo che le scarse risorse da mobilitare debbano trovare lì l'epicentro (tenendo conto dell'indotto e nell'occupazione che dovrà essere in grado di mettere in moto). Il Convegno vuole essere un punto di partenza per una riflessione
"riformista" sulle prospettive dell' economia Ligure. Quello che sollecitiamo sono i contributi come il suo, che verrà in qualunque caso allegato agli atti, per poter indicare al Governo e alla Regione possibili soluzioni immediate ma anche per preparare una volontà di autogoverno a livello locale in vista nella prospettiva della riforma federalista del Paese.
Ci consenta ancora di disturbarla.
con stima
Giuseppe Vittorio Piccini
seg.reg.Liguria NUOVO PSI

Mentre la seconda ha letto, e dandomi ancora una volta la conferma che molta "gente" della politica ligure (e non solo) è fatta così e vive perennemente solo in alto, lassù sui piani nobili; così m'ha risposto:
Nessuno è perfetto e per natura diffido di chi possiede tutte le verità per questo non credo un incontro risolva problemi dell'umanità...mi limito ad ascoltare gli uomini che con i loro limiti dimostrano buona volontà.
Dispiaciuta mi scuso per disturbo e provvedo a cancellare nominativo.
cordialmente … segue firma.
Conclusione:
Il primo ha letto, pensato e ha risposto dimostrandosi intelligente; la seconda ha letto e risposto …

lunedì 3 maggio 2010

Quello che conta è la poltrona





Ci sono cose che solo a pensarle fanno venire i brividi.
L’Italia, checchesenedica, è un Paese a trazione turistica, ed è inutile menare il can per l’aia con discorsi sulla fattibilità monetaria nazionale dei "soliti" altri settori; se ci si arriva a questo benedetto 20% d’incidenza sul Pil, le cose son fatte.
Poche frottole, turismo e terziario!
E poco m’importa se questo (20%) ultimamente l’ha detto Silvio,Tizio, Caio o Sempronio; l’ho sto dicendo da oltre 30anni.
Ma se ascoltiamo le causali del rinnovamento per traghettarci a questo successo da parte dei “professionisti” del settore, ecco che ci arrivano ininterrottamente le stesse litanie, le medesime cose che non produrranno mai niente….a noi.
A loro non si sa, ma qualche idea ce l’ho.
Mentre se hai la disgrazia di parlare o discuterne con “loro” (per mia fortuna in Italia non più), quelli che non capiscono una mazza sono sempre gli altri, e lo dicono da quei pulpiti che chissà perché sono posti ben al disopra di dove ci cammina uno normale; sono tanto in alto che a volte non riesci neanche a sentirli.
Che dopotutto non è neanche un gran male.
Basta questo per capire chi veramente non ne capisce un’acca mentre diventa facile capire il come lì ci si possano trovare.
Però non è di “questi” che vi voglio parlare ma di una storia trovata sul web che penso raggruppi quasi tutti i problemi della classe dirigenziale italiana, nessuno escluso, e del vecchio “cariatidale” modo di “supposte” soluzioni; a loro le soluzioni, per noi le supposte.
Politica, associazioni, industria, sindacati, enti, scuola-università, eccetera, eccetera; "forse" uniti come i ladri di Pisa che il giorno litigavano e la notte andavano a rubare insieme.
Comunque…..
Luca ha 31 anni e ne ha abbastanza di tutto.
Ha concluso giornalismo e comunicazione sociale all’università di Roma La Sapienza, e oggi per 600 euro più mance prepara caffè e vende cornetti in un bar in via Cipro, vicino il Vaticano.
“Sei anni dopo gli studi sono al punto di partenza, non ho un lavoro fisso, sono in miseria e abito di nuovo coi miei genitori, e per giunta la mia ragazza mi ha lasciato.
Da 5 anni mettevamo da parte dei soldi (pochi) per il matrimonio e i possibili futuri figli, dato che non c’era nulla ad ostacolarci.”
Luca ha finito gli studi col punteggio di 108 su 110, ovvero eccellente.
Ha offerto i suoi servizi a media, uffici stampa, università; è stato in agenzie di lavoro e ha inviato più di 100 offerte, non ricevendo alcuna risposta.
Dopo sei mesi, grazie a conoscenze del padre, lo hanno preso per uno stage in un quotidiano romano, ma del contratto promesso non se n’è fatto niente.
Per guadagnare qualcosa è andato in un call center di una rete mobile, dove durante le vacanze aveva lavorato da studente.
Per 800 euro al mese, sulla base di un contratto part-time che si poteva rescindere in ogni momento, convinceva i clienti della concorrenza a passare ad un’altra.
La successiva offerta di lavoro venne da un intermediario e lo presero per uno stage di 6 mesi a 900 euro con la carica di… segretario, ma nonostante le promesse non gli rinnovarono il contratto. Tornò al call center e la storia si ripeté tre volte.
Dopo altri stage di 6 mesi a 450 euro al mese, al momento di firmare il contratto di lavoro promesso, gli mostrarono la porta, assumendo al suo posto il successivo stagista.
Quando iniziarono a convincere il padre, operaio di una grande azienda edile, ad andare anticipatamente in pensione, questi acconsentì ma a condizione che assumessero Luca e a tempo indeterminato.
In realtà, dopo sei mesi di un lavoro che nulla aveva a che vedere con gli studi compiuti, ottenne un contratto di un anno a 1200 euro al mese. Insieme alla ragazza presero in affitto un’abitazione e si fecero una vacanza.
Quando tornarono, risultò che dei Cinesi avevano rilevato la ditta e Luca cadde vittima dei licenziamenti, perché li esonerarono in base all’anzianità.
Non c’era modo di mantenere l’abitazione e dunque ritornò dai genitori.
La ragazza lo lasciò, al call center non c’era più posto e dunque adesso lavora in nero, servendo caffè in via Cipro. Ma in primavera inizierà una nuova vita; a Londra.
Luca non è sfortunato né imbranato, mentre in una situazione simile (anche peggio) si trovano quasi 3 milioni di Italiani ed Italiane dai 20 ai 35 anni.
Non di rado hanno un’istruzione alta ma nonostante la qualifica, sforzi e lavoro pesante non possono trovare l’assunzione ad un posto fisso e una paga decorosa.
Questo non permette loro di gestire da soli la propria vita, di formarsi una famiglia e pianificare per il futuro, quindi nella maggior parte dei casi abitano con i genitori o in coabitazione con altri. Parlano di loro come della “generazione 1000 euro”, poiché non guadagnano di più.
Troppo per morire, troppo poco per vivere.
Le ambizioni e i piani di vita dei giovani laureati Italiani s’infrangono contro pareti di vetro.
Degli oltre 150 mila giovani che ogni anno terminano gli studi in Italia, il 53% ad un anno dalla laurea non trova lavoro, e quasi il 44%, passati 3 anni, ancora non possiede un posto fisso.
Inoltre, a 5 anni dalla conclusione degli studi, il 15% lavora di continuo saltuariamente e per pochi soldi.
Questo non vuol dire che il mercato sia saturo di laureati, perché in Italia la percentuale di persone con diploma di laurea è di appena l’11.4 % dei lavoratori, a fronte di una media nei paesi OCSE del 25% .
Un caso emblematico, descritto in dicembre da tutta la stampa italiana, è quello della trentaduenne Barbara Foglieni.
Ha concluso Biotecnologie e Microbiologia ed ha scoperto una pericolosa variante del virus dell’AIDS, ovvero HIV-1, poiché non rilevata dagli attuali test.
Invitata a conferenze e congressi dalle università di USA e Gran Bretagna, in Italia non ha un posto fisso.
Lavora con il solito contratto a termine, presso l’ospedale di Lecco, a 1000 euro al mese e in marzo sarà senza lavoro e ovviamente vuole andare all’estero.
Una storia italiana e il turismo in questa storia c’entra, eccome se c’entra; vi ricordate l'incidenza di quel 20% del Pil?

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