Capire
i genovesi è dura. Anche dire “genovesi” è arduo.
Genova
esiste da quando è nata Roma, dal 700
a. C.,
loro arroccati sul Castello scendevano verso il molo e sulla spiaggia
per lavorare, aggiustare le reti per la pesca e scaricare e caricare
le merci che arrivavano da posti lontani. Erano fenici quelli che
arrivavano, etruschi
e greci e alcuni si fermavano la notte, fuori dal Castello con
qualche donna, per poi ripartire.
Erano
grandi i bambini di quelli lì quando arrivarono i romani che ai
“genuati” piacquero più che agli altri liguri. Militari,
ordinati e pagavano. Avevano bisogno dell’approdo e con loro
portavano merci mai viste prese chissà dove. Genova si andava
popolando e loro la disegnarono come sapevano fare soltanto loro, dei
maestri.
La
città vecchia è ancora sulle direttrici che hanno tracciato i
romani, linee rette e perpendicolari, precise. Quando
venne Magone, il cartaginese, gli uomini furono uccisi e tutte le
donne stuprate e i figli che nacquero erano mezzi africani.
E
nella Genova che venne ricostruita vissero anche loro.
Fai
presto a dire “genovesi”.
E
poi andarono via i romani che Genova era un centro importante e per
un po’ di tempo, diversi secoli, era più facile morire che vivere.
Tutti venivano a Genova a trovare riparo dalle invasioni di popoli
lontani e feroci e
vennero anche i milanesi e la cosa non piacque molto.
E
fai presto a dire genovesi.
Genova
non aveva una piazza centrale, mai avuta. Era divisa per famiglie.
Piccole corti intorno ai palazzi stop. In eterna guerra fra loro.
Stop.
Carlo
Magno pretese che erigessero delle mura per difendersi e lo fecero ma
mica tanto volentieri. Un giorno una fontana cominciò a sputare
sangue e la cosa non diceva niente di buono. Arrivarono i saraceni e
misero a ferro e fuoco la città. Uccisero gli uomini e stuprarono le
donne. Tutti i bambini che nacquero dopo nove mesi erano mezzi
africani.
Fai
presto a dire genovesi.
La
città venne ricostruita più bella e ricca di prima e i traffici
cominciarono a rifiorire, tutta l’Europa guardava verso Genova dove
una moltitudine di uomini armati partiva per andare a liberare
Gerusalemme. E divenne
bellissima, ricca di palazzi e tesori, costellata di torri da cui i
genovesi si tiravano tra di loro qualsiasi cosa, frecce, lance,
pietre, pitali e merda.
I
genovesi hanno sempre avuto un brutto carattere.
Lo
diceva anche Dante Alighieri.
Branca
Doria era talmente feroce che il sommo poeta lo mette all’inferno
che è ancora vivo.
Quando
l’imperatore manifesta l’intenzione di venire a Genova la cosa
puzza di bruciato. A fare cosa?
Fu
così che i genovesi, tutti uniti, costruiscono una mirabile muraglia
in una decina di giorni. Che il Barbarossa lo deve ancora spiegare
cosa ci veniva a fare a Genova e comunque quella volta le ricchezze
rimasero ben al sicuro dietro le mura ma di piazze neanche a
parlarne. Anzi con la polvere da sparo dalle torri si sparavano, i
genovesi. E così fu deciso di abbatterle le torri, tranne
quella dell’Embriaco perché lui, proprio lui l’aveva liberata
Gerusalemme, sul serio.
Altro
che musse. Come dicevano e si dice ancora adesso.
Intanto
Cristoforo Colombo, che era genovese, scoprì l’America ma siccome
aveva due debiti, preferiva attraversare l’Atlantico a nuoto che
farselo menare dai genovesi a casa sua. Nessuno è profeta in patria
lo disse Gesù Cristo che poi non era neanche di Portoria che sarebbe
stato ancora più difficile.
Ai
crucchi le piaceva ‘sta città, clima dolce, donne quante ne
volevano (almeno allora) e forzieri pieni d’oro. Il carattere degli
abitanti era un po’ così ma anche loro non erano la simpatia a
prima vista. Trecento anni dopo, armati e in forze occuparono la
città e le donne furono tutte le loro.
E
i bambini che nacquero nove mesi dopo erano mezzi austriaci e mezzi
genovesi ma non fecero in tempo a vedere il loro papà perché nel
frattempo uno un po’ più grande di loro, lo chiamavano “balilla”
non gli andò di aiutare i crucchi a spostare un cannone e scatenò
un macello. E i crucchi furono costretti a portare via gli stracci.
Hanno
proprio un carattere difficile i genovesi, lo dicevano anche gli
austriaci mentre scappavano.
E
poi vennero i francesi e di nuovo gli austriaci e si morì di fame
per strada e poi cadde un re e se ne fece un altro e un giorno,
niente, esce fuori che i genovesi erano sotto quei mezzi austriaci
dei Savoia che quante volte gliele avevano suonate a Zuccarello ma
niente. I Serenissimi non lo erano più tanto e soprattutto non lo
sarebbero mai più stati.
C’era
da fare l’Italia e i genovesi avevano delle idee. Sempre meglio dei
Savoia. Un tipo con una bella parlantina passava svelto da via
Lomellini dove abitava ai caffè di via Aurea dove si parlava di
politica e dell’Italia.
Beppe,
Mazzini Beppe aveva grandi idee, lo chiamano ancora oggi padre della
patria, erano talmente toste quelle idee che quando lo vedevano i
Savoia lo mettevano dentro senza passare dal via.
Grandi
idee.
Geniali.
Muore
in esilio che gli avrebbero tirato volentieri una schioppettata se lo
avessero visto Beppe, i Savoia.
Mai
compresi i genovesi.
Poi
Garibaldi che però era di Nizza partì dallo scoglio di Quarto e in
quattro e quattro otto arriva quasi sino a Roma a cannonate che lui
ce l’aveva a morte con il Papa ma lo fermano prima e lo mandano in
pensione. Almeno lui.
A
Genova mandano giù il rospo dei Savoia e De Ferrari caccia tanto di
quel grano per fare il porto che finalmente i genovesi la fanno la
piazza e la dedicano a lui.
I
genovesi sanno essere generosi quando vogliono.
Con
parsimonia come conviene.
E
poi ci sono le guerre e di nuovo i crucchi che gli tocca andare via a
calci nel culo anche stavolta che i genovesi non hanno bisogno degli
americani per farlo, anzi glielo potrebbero spiegare loro agli
yankee.
Sembra
che i crucchi dicessero che i genovesi avevano proprio un brutto
carattere mentre si arrendevano a De Ferrari.
E
poi ci siamo noi che arriviamo dai fenici, dai romani, dagli
africani, dai francesi, dai crucchi ma che però abbiamo conservato
il bene più prezioso.
Il
nostro brutto carattere.
W
Genova. W la Repubblica (di Genova)