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lunedì 28 novembre 2016

La staffetta (4 X 0,10 cm.) che corre veloce dell'Enit

Certamente ricorderete... e se non ve lo ricordate, ecco che ve lo rammenta la slide 38 (ved. qui) del piano strategico triennale di ENIT presentato in pompa magna nella famosa conferenza stampa romana da 15.000 euro e passa (15.720,94 per quella precisione che ci piace tanto) dove più che il nulla non fu narrato (ved. qui) dai capi della “staffetta veloce 4 X 0,10 cm.” dell'Enit e del suo ministero.

Slide 38 la quale narra che in occasione del 14° global forum on Tourism Statistic dell'OCSE la nuova ENIT del Fabio Lazzerini "che corre veloce e che sa bene qual è la strada da imboccare" avrebbe dovuto presentare il piano di sviluppo del "rinato" Osservatorio Nazionale del Turismo presso, appunto, la nuova agenzia nazionale del turismo (ENIT).

Bene, il global forum si è tenuto a Venezia nei giorni 23, 24 e 25 novembre a Ca' Giustinian (ved. Qui).

Ora leggetevi bene i titoli di qualcuno dei panel presentati dai nostri massimi esperti del MIBACT e confrontateli con quelli spagnoli, così... tanto per gradire... Sic!

Quelli spagnoli...

... e quelli italiani.


Ma anche quelli delle altre nazioni, che per l'occasione colpiscono proprio nel centro della questione, mentre dei nostri... è meglio non dire.
Inutile perderci del tempo.

Se poi qualcuno volesse farsi due risate o prodursi del danno al proprio fegato (quest'ultima cosa è capitata a me), qui nel link trovate tutto anche nei minimi particolari... sì, quelli delle altre nazioni ma non quelli italiani.

E la completa assenza dei papers italiani della "Special Session" qualcosa dovrebbe anche dirvi... o no?
Perché non ci sono?... che si vergognino di renderli pubblici?

Per curiosità, guardatevi anche solo il paper brasileiro
Extracting web data to from Tripadvisor as support for tourism indicators development in Minas Gerais
Rafael Almeida de Oliveira, Renata Maria Abrantes Baracho Porto, Secretaria de Estado de Turismo de Minas Gerais, Universidade Federal de Minas Gerais, Brazil

Altro che "i dati ce li abbiamo già, non c'è nulla da inventare, mettiamoli a sistema" ed altre simili cavolate del genere di questi che hanno infilato all'ENIT.
Poi, se proprio volete, giratelo a quei signore e signori che fanno i professoroni sul web, come nelle riunioni del turismo, nelle Fiere, nei comitati (e pure profumatamente pagati) etc., e che ce lo menano con la loro grande presunta sapienza... che magari cominciano a capire pure loro cosa eventualmente potrebbe essere catalogato come Scientific (ved. presunto scientific al BTO ?). 

Anche perché penso che a loro sarebbe interessante capire cos'è un web scraper e come si possono estrarre facilmente dati dal web anche senza che i dati pubblicati siano "open".
Infatti il paper è fin troppo semplice da leggere, anche per un non esperto di tecnologie.


Ci sarebbe infine da aggiungere che tutte quelle cose che stanno inseguendo inutilmente da anni e anni, beh; si possono estrapolare perfettamente e semplicemente.
Il problema è che chi s'è inventata la soluzione ormai da molti anni e anni (sì, sono iosta sulle balle a molta di quella gente e ai loro adepti.
E così preferiscono continuare a fare delle figure barbine piuttosto che... ad ennesima conferma che...

non è singolare che in Italia, ma non all'estero, consideriamo normale dover scegliere tra competenza ed etica?
Ci sono anche competenti e pure etici allo stesso tempo e simultaneamente, ma sono come fuori dai loro radar.
Essere competenti ed etici insieme diventa quasi un problema in un sistema in cui regna l'affarismo e il pressapochismo, poiché si è malvisti e perché si costringe gli incompetenti a fare i conti con chi è più bravo.
E come cazzo si può pensare che il turismo, e non solo, potrà mai andare meglio, eh!

domenica 21 settembre 2014

Spariti (rapiti?) 30 milioni di turisti stranieri in un solo anno

L'OCSE dichiara che i turisti esteri che vengono in Italia sono qualcosa come 76 milioni e rotti, portando così il Bel Paese come la seconda nazione, dopo la Francia, a riceverne di più.
Balle! … rosse, verdi, blu e pure gialle!!

L'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) (in inglese Organisation for Economic Co-operation and Development (OECD) non è altro che un'organizzazione internazionale di studi economici per i paesi membri, paesi sviluppati aventi in comune un sistema di governo di tipo democratico ed un'economia di mercato.

L'organizzazione svolge prevalentemente un ruolo di assemblea consultiva che consente un'occasione di confronto delle esperienze politiche, per la risoluzione dei problemi comuni, l'identificazione di pratiche commerciali ed il coordinamento delle politiche locali ed internazionali dei paesi membri.

Eh?

Economia di mercato?
Occasione di confronto?
Coordinamento delle politiche locali ed internazionali?
Identificazione di pratiche commerciali?

E come definire quei 30 milioni e passa di differenza che mancano all'appello?
In verità un aggettivo appropriato l'avrei pure ma passo oltre.

Quindi “quelli” (OCSE) le “sparano” talmente grandi da far arrossire di vergogna anche i cannoni di Navarone, ma chi vede questi dati, che cosa fa?

In definitiva le presenze straniere nello Stivale sono 46 milioni (dati UNTWO e confermati da tutto il mondo ... OCSE esclusa) … ma non si potrebbe cominciare a pensare di finirla con questo andazzo di statistiche e dati da far paura?

Bene, pochi giorni fa è stato presentato un progetto al TDLAB per togliere di mezzo, in una maniera facile facile e definitivamente, questa problematica che definire sciocca è ben poca cosa. 
Sia sotto l'aspetto della corretta informazione che in quello della moneta sonante, visto che costano delle palanche e non sono quasi mai veritiere.
Senza poi contare che l'OCSE ha appena emesso i dati del 2012 e quel programmino li darebbe in tempo reale.

Riusciranno i nostri “eroi” radunati a Roma a capirne l'utilità considerando che anche questa è digitalizzazione?

Ai posteri l'ardua sentenza.






lunedì 27 febbraio 2012

Ma siamo veramente pronti per accogliere i turisti cinesi?

L’Ocse ha bocciato l’Italia in vari ambiti a seguito della ricerca “Oecd Italy tourism policiy review 2011″, un’analisi della gestione del Turismo in Italia commissionata due anni fa per valutare lo stato delle cose e capire come muoversi.

I risultati, presentati lo scorso mese in occasione del completamento della consegna dei diplomi del Mater in Tourism Management della Iulm, appaiono scontatissimi. Inutile continuare a sperare nella crescita del turismo dei Paesi BRIC se l’Italia non sarà pronta ad accoglierli con nuove infrastrutture e un nuovo approccio nella gestione, nella comunicazione e nella promozione del Paese.


Nello scorso articolo dedicato al Turismo in Italia, qualcuno ha commentato che tutti i provvedimenti auspicati dal Ministro Gnudi sono da considerarsi niente di più delle solite promesse di sempre, e che per ora restano solo parole.
È tempo però di intervenire concretamente: l’Ocse ha rilevato ovviamente problemi legati alla Governance, alle infrastrutture, con le strategie di promozione del Paese e persino con la redazione delle statistiche. C’è bisogno subito di una strategia a livello nazionale, di un’Enit riformata che prenda saldamente in mano le redini del Paese, mentre intanto le Regioni continuano a utilizzare nei modi più disparati i propri fondi senza una direzione univoca, che promuova il “brand Italia” al meglio, soprattutto all’estero.
Fare in modo che il Turismo rimanga uno dei pilastri del nostro PIL – ha affermato Gnudi qualche giorno fa – non sarà semplice perché ci sono alcune mancanze in Italia difficilmente colmabili nel breve termine:
  • Non ci sono tour operator nazionali
  • Non esistono grandi catene alberghiere italiane
  • Le nostre compagnie aeree coprono un numero di tratte ancora troppo esiguo
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Non parliamo poi dei trasporti: dai treni agli autobus, in Italia non ci distinguiamo di certo per efficienza e puntualità.
Per uscire da questo impasse, in attesa che vengano presi dei provvedimenti concreti, non resta che puntare sull’arrivo di nuovi turisti dall’estero, e soprattutto dai Paesi emergenti.

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Puntare alla Cina

Pare un controsenso appellarsi al turismo cinese mentre metà Penisola (o forse più) lamenta le difficoltà di integrazione con i tanti immigrati cinesi che si sono stabiliti dovunque.
Detto questo, l’Italia si candida a divenire una delle mete predilette dalla Cina: i turisti cinesi amano soprattutto il mare e l’arte, cose che qui da noi non mancano.
Secondo l’Osservatorio PricewaterhouseCoopers – Sole 24 Ore sul turismo in Italia, la spesa turistica della Cina in dieci anni andrà a costituire il 18,2% dei flussi internazionali.

Mentre infatti la spesa degli Italiani per i viaggi stagna – per la crisi economica e per la caduta libera delle condizioni lavorative che riduce sempre di più il loro potere d’acquisto – i turisti cinesi, amanti della cultura e disposti a spese pazze nei nostri outlet pieni di grandi firme, sono destinati a diventare i “turisti del futuro”.
Al momento però, dei 57 milioni di turisti che partono ogni anno dalla Cina (2011), solo  pochissimi vengono in vacanza da noi, quindi per l’Italia si tratta di un’offerta di mercato ancora tutta da inventare, di una sfida dalle tante potenzialità.
Ma come soddisfare i nuovi turisti cinesi e fare in modo di offrire un servizio all’altezza delle aspettative? Sempre secondo la ricerca PwC, è necessario soprattutto concentrarsi su 3 punti
  1. Conoscere la loro cultura: E’ importante sapere quali siano le preferenze dei turisti cinesi ma anche come offrire servizi in linea con il loro pensiero e il loro stile di vita. Ad esempio non amano bere molto, quindi meglio non puntare su pacchetti enogastronomici o degustazioni. Alcune scelte potrebbero rischiare di offenderli: ad esempio il bianco è il colore del lutto, il 4, il 44 e altri numeri con il 4 sono considerati sfortunatissimi. Hanno un’alta considerazione del rispetto e della moderazione, qualsiasi forma di sgarbo in pubblico è considerata intollerabile. Impariamo anche le loro abitudini: come gli Inglesi non possono vivere senza bollitore e bustine da tè, in Cina è usanza trovare in albergo lo spazzolino da denti, l’accappatoio e l’acqua calda, considerati servizi standard. Molti sono abituati a mangiare dolce, soprattutto a colazione.
  2. Comunicare e promuovere l’Italia anche in Cina: Spesso ai tour operator non interessa molto questo settore, quindi sarà importante riuscire a impostare una solida strategia di promozione, magari anche con il sostegno del Governo, rivolta direttamente a questi nuovi Paesi emergenti.
  3. Saper gestire l’arrivo in Italia: L’esigenza di nuove infrastrutture è ovvia, ma in mancanza di risorse, si deve poter contare almeno sulla professionalità e il servizio degli albergatori, sulla loro disponibilità a comunicare in lingua e a far sentire anche questi ospiti come a casa propria.
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     I competitor europei più flessibili e all’avanguardia

    Resta da capire se l’Italia sia effettivamente in grado di reggere i nuovi flussi, con la paura che sia destinata a restare indietro rispetto alla Spagna e alle altre destinazioni europee come ha fatto in questi anni, con l’ulteriore minaccia dei viaggi di lusso a buon mercato possibili solo in Oriente, come Malesia e Thailandia.
    In una intervista rilasciata lo scorso anno da Cristina Lambiase, responsabile dell’Osservatorio ENIT di Pechino a AGI China 24, emerge che al momento il nostro sistema fa acqua da ogni parte rispetto ai competitor europei.
    Ad esempio, i Cinesi pianificano i viaggi soprattutto online, e il Portale nazionale ancora resta un binario morto: “Secondo una relazione della China Tourism Academy, il 52% dei cinesi ottiene informazioni sulle destinazioni da visitare tramite internet - dice la Lambiase – Noi siamo completamente sguarniti su questo fronte, e la cosa ha un impatto decisivo.”

    In più i turisti cinesi sono tra quelli più propensi a spendere in beni di lusso, ma l’Italia non sembra pronta a sfruttare questo trend: “I partner cinesi dei tour operator italiani – spiega la Lambiase – non guadagnano niente sui  pacchetti, incassano solo dalle commissioni sullo shopping. Ma gli outlet italiani non sono d’accordo nel concedere queste commissioni, e si trovano a dover combattere, per esempio, con i francesi Magazzini Lafayette che non solo le concedono, ma hanno un servizio tax free specifico per i cinesi e accettano anche la China Union Card, la carta di credito più diffusa in Cina”.

    Che dire? Difficile sapere cosa aspettarsi visti i precedenti… sperando di non essere così sciocchi da rimanere a guardare mentre il turismo cinese, adesso tanto prezioso, prende il volo per altre destinazioni.
    Fonte: Sole24Ore, AGI China 24 e Booking Blog

    martedì 1 febbraio 2011

    I can't believe it's true (da tradurre come si vuole)

    Si vede che per loro, quelli che abitualmente si aggirano nelle stanze dei bottoni del turismo, deve essere la “vittima” a ritornare sul luogo del “delitto”.
    Veramente una volta era vero l’opposto, ma si sa che i tempi cambiano e possibilmente a loro piacimento.
    Quindi, a seguito del silenzio generale sulla recente disamina dell’Osce da parte di quelli che giornalmente di parole ce ne regalano a iosa e “che non servono a un granché”, ecco che invece ora tacciono in merito alle “secolari” causali del turismo nazionale.
    Pertanto ritenendomi una “vittima”, ari eccomi sul luogo “incriminato” per riparlarne.

    Governance, infrastrutture, statistiche di settore e promozione: sono questi i punti deboli del turismo nella Penisola secondo l'ultimo rapporto Ocse ‘Oecd Italy Tourism Policy Review 2011'.
    A parte che non ci voleva poi molto a dare questa eclatante rispondenza, lo stato di salute del turismo italiano è stato analizzato da Sergio Arzeni, direttore del Centro per l'imprenditorialità, le pmi e lo sviluppo locale di Ocse, che ha inquadrato i principali cambiamenti che investono il settore e i fenomeni che frenano il suo sviluppo, e che così dichiara: Si sente la mancanza di una strategia a livello nazionale. "Il turismo è uno dei settori economici più importanti del nostro Paese e il suo sviluppo potenziale a lungo termine è fondamentale", sottolinea Arzeni.
    Beh, anche in questo caso non è che ci volesse una zingara per capirlo, ma andiamo avanti.
    La fetta principale di turisti, il 57 per cento circa, è rappresentata dal mercato domestico, ma anche gli arrivi dall'estero si mantengono su una quota importante, pari al 43 per cento.
    "Sono cresciute molto le piccole imprese - spiega inoltre l’Arzeni -: basti pensare ai servizi di ospitalità che non rientrano strettamente nella categoria alberghiera, settore rimasto stabile, come agriturismi e b&b". Un dato non secondario, visto che spesso le statistiche relative all'Italia non tengono conto delle seconde case e di tutte le sistemazioni diverse da quelle dell'hôtellerie, con la conseguenza che mancano dati statistici omogenei.
    Non si capisce quindi il come l’Arzeni abbia potuto dare le statistiche sopraddette (57% italiani, 43% stranieri) che sono di pertinenza solo ed esclusivamente del settore alberghiero, mentre il discorso all’origine era molto più ampio, visto che si “parlava” di tutto il turismo italiano (che se ne sia dimenticato?), e se poi intervengono tutti gli altri fattori come le seconde case (frequentati in netta maggioranza dagli italiani), agriturismi e B&B che dice non facciano parte della categoria…
    … inoltre, e non avevo alcun dubbio, noto che non c’è nessun accenno per far si che si possano tacciare le parole o aggettivi (non troppo felici) che, ormai tutti nel comparto turistico, usano per definire le statistiche e i dati sul turismo.
    Niente in riferimento ai quei numeri che spesso sono fonte di ilarità o incazzamento non appena si leggono o vengono pronunciati da questo o quell’altro, mai concordanti con quelli di autorevoli  altre fonti (lo dice chi li emette) e che immancabilmente portano il “beneficio” solo al politico, al tecnico o a chi ci si “trastrulla” nel momento e per quelli di turno.
    Statistiche che quasi sembrano messe giù alla moda di quelle delle proiezioni del voto politico.
    Ma dai.
    Infine, neanche una parolina per il rimedio, che mi porta a pensare al che cosa sia servito questo studio o chiamiamolo rapporto, se non per riascoltare le stesse e medesime cose che ahimè sappiano da secoli.
    Ma quando suona ‘sta sveglia (?), perché qui è sempre notte.

    P.S.: A domanda mi risponde Giancarlo Livraghi che per quanto riguarda la “fondatezza” e conoscenza filosofica delle statistiche non ha pari in Italia e che così mi dice: “…potremmo chiederci se l'inadeguata gestione provochi statistiche sbagliate (o male interpretate) oppure le statistiche confondano la gestione. Credo che siano contemporaneamente vere tutte e due le cose.
    Cioe' ci troviamo in un "circolo vizioso".
    E' un disastro irrimediabile? Credo di no. Ma, come ho scritto in "Viva l'Italia?":
    "Se aspettiamo che qualche soluzione (chissà quale) venga dall’alto', possiamo piangere per altri mille anni. ..... Ma mille formiche possono fare di più di un disorientato e torpido pachiderma. Cominciando con l'aprire qualche piccola breccia nell'esasperante muro di gomma dei manierismi, dei servilismi, delle abitudini e della disinformazione".
    Auguri per il suo lavoro. E, per piacere, non desista.
    Cordialmente,

    Giancarlo Livraghi

    domenica 30 gennaio 2011

    L'Ocse boccia il turismo italiano perchè sui dati e sulle statistiche contiamo delle balle. Ma va?

    Un’altra trovata “geniale”, soprattutto “nuova” nelle risultanze e per niente dispendiosa.
    Solo che credo sia vero l’opposto!
    Leggo che il Ministro/a ha incaricato l’Ocse (che l’organismo internazionale ha concluso per conto del Ministro) ... affinché rediga un documento (OECD Italy Tourism Policy Review) che dovrebbe fotografare le eventuali problematiche del turismo in Italia, secondo la logica della peer review.
    Bene, il risultato (siamo stati bocciati) è questo:
    • infrastrutture: afflitte da ritardo, divario Nord-Sud, debole intermodalità;
    • governance: indebolita dall’assenza di una efficace strategia nazionale e integrata;
    • statistiche: discordanti, tardive ed incomplete; l’assenza di dati affidabili sull’andamento del settore penalizza l’Italia nel contesto internazionale e rende più difficoltoso lo sviluppo di politiche pubbliche;
    • fondi strutturali: le risorse ci sono, ma mancano i progetti e il consenso per impiegarle.

    L’Ocse, che noi “foraggiamo” annualmente con una quota statutaria del 5,412% (€ 17.952.160 per il 2007) è, per chi non lo sapesse (wikipedia), un'organizzazione internazionale di studi economici per i paesi membri, paesi sviluppati aventi in comune un sistema di governo di tipo democratico ed un'economia di mercato. L'organizzazione svolge prevalentemente un ruolo di assemblea consultiva che consente un'occasione di confronto delle esperienze politiche, per la risoluzione dei problemi comuni, l'identificazione di pratiche commerciali ed il coordinamento delle politiche locali ed internazionali dei paesi membri.
    Comunque, quasi 18 milioni di euro a parte (nel 2011 sono forse di più), mi verrebbe “quasi” da dire: “e ci voleva l’Ocse per arrivare a questa “nuova” disamina?”
    Non bastava leggere qualsiasi pagina, in qualsivoglia idioma che parli di turismo (anche in un blog), per capire che sono circa trent’anni che queste cose si sentono, si dicono e che si sanno, ma forse non si leggono?
    E poi quel … che il Sergio Arzeni (direttore del Centro per l'imprenditorialità) descrive come “statistiche: discordanti, tardive ed incomplete; l’assenza di dati affidabili sull’andamento del settore penalizza l’Italia nel contesto internazionale e rende più difficoltoso lo sviluppo di politiche pubbliche” … che è da mò che qui lo stiamo dicendo, e che tanta acredine ci ha procurato da quei signori che le emettono in grande quantità e “naturalmente”, chissà perché, sempre in loro favore.
    L'Arzeni in verità sostiene che la colpa sia principalmente dovuta poiché le statistiche relative all'Italia non tengono conto delle seconde case e di tutte le sistemazioni diverse da quelle dell'hôtellerie, con la conseguenza che mancano dati statistici omogenei.
    Cosa che condivido ma che, probabilmente per non "urtare" qualcuno, è incompleta.
    Comunque sia, s’era anche detto, e non sarà certo questa l’ultima volta che lo ripeteremo, che fare delle statistiche certe e vere sia di una facilità estrema, nonché per niente costose.
    Ma si vede che a “loro” sta bene così e quindi, non se ne fa niente.
    Delle infrastrutture in ritardo, del divario Nord-Sud, dell’assenza di una efficace strategia nazionale e integrata nonché della mancanza dei progetti e del consenso per impiegare le risorse (che ci sono) per i fondi strutturali … quante volte è stato detto?
    Un milione (?), due milioni (?), tre milioni di volte o forse 17.952.160 di volte, proprio come gli eurini dati all’Ocse per farcelo dire ancora una volta di più?
    Beh, s’è per questo, e per molto di meno, lo ripetevo anch’io per la miliardesima volta, ma come si dice (?): “loro son loro e io non sono un razzo”, e in più usano anche i miei (pochini) per farselo dire ancora una volta.
    C’est la vie, mon ami … per ora, poi … chissà?

    giovedì 16 settembre 2010

    Le mie 5 azioni (da 5 lire) per raddoppiare il PIL del turismo

    Non che negli altri “posti” o ministeri non succeda, per carità, ma sembra che sotto la branchia del turismo ci vadano a finire quasi tutti.
    Diciamo che l’Italia non è proprio il Paese dove non esistano i favori, le cortesie “ricambiate”, gli aiutini con annessi e connessi.
    Ma quando si parla di turismo, ecco che la percentuale dei “raccomandati meritocratici” cresce a dismisura.
    Quante volte abbiamo sentito o letto che L’Enit (Ente Nazionale del Turismo) era il “carrozzone”; vale a dire il ricovero di trombati politici, raccomandati, nullafacenti e tant’altro di poco “edificante”.
    Poi le spese “pazze” unite ai risultati delle scarse presenze turistiche, l’hanno spiegata ben bene.
    E ora?
    Beh, adesso c’è andato a finire il Matteo Marzotto (ci fa il Presidente) e che proviene da tutt’altro mestiere, mentre tra gli altri “meriti turistici” che s’è sentito o letto, c’è quello che il nonno ha fondato una grande catena alberghiera, la Jolly Hotels, ma da poco, ahimè, venduta agli spagnoli (?).
    Embe (?), è un po’ come se uno potesse fare la carriola per il motivo che la propria nonna costruiva e vendeva rotelle.
    Il vice di Marzotto è Paolo Rubini, e anche lui non “giunge” dal settore turistico ma dai cordoni ombelicali congelati (cellule staminali), però ha lavorato per i Circoli della Libertà.
    Che c’entra direte voi?
    La stessa cosa che dico anch’io.
    In definitiva questi esempi sono la prima delle 5 azioni da fare per raddoppiare il Pil del turismo; “… e avanti col merito e la meritocrazia” come “tuonava” tempo fa la Brambilla a Genova … solo che poi non è piovuto.
    Adesso potrei elencare una sequenza di “banalità” che vanno dalla fuga all’estero dei migliori cervelli alla possibilità di ricerca lavoro qualificato; dalla disponibilità di capitali a rischio alle pratiche d’assunzione; dall’efficacia dei consigli d’amministrazione alla trasparenza delle politiche di governo e una marea di altre cosette in cui sicuramente non eccelliamo.
    Cose già dette e stradette che chissà perché non cambiano mai.
    Interessi di partito, interessi personali o che cos’è ?
    Comunque Secondo la relazione “Doing Business 2010″ della Banca Mondiale, ci sono 78 Paesi nel mondo (su 183 considerati) dove fare impresa è più facile che in Italia.
    E il turismo è impresa, è azienda, è commercio, è industria, è eccetera eccetera.
    Ultimo (dopo la Grecia) nei Paesi dell’ Ocse, l’idea di aprire un’azienda nel BelPaese è poco attraente per via dell’eccessivo peso e costo della burocrazia, che complica operazioni fondamentali quali avviare e chiudere un’attività, gestire i rapporti di lavoro, accedere al credito, pagare le imposte.
    Ci sono alcuni più specifici indicatori dove l’Italia scivola addirittura oltre la centesima posizione: si tratta della possibilità di fare rispettare i contratti (156esimo posto, a causa dei tempi biblici della giustizia) e dell’area del pagamento delle imposte (135esimo posto, per via dell’alta aliquota e del numero di ore perse per assolvere gli obblighi fiscali).
    Insomma, notizie poco confortanti che (purtroppo) provengono da una fonte autorevole, leader di opinione presso i venture capitalists e gli imprenditori internazionali.
    L’Italia – lo sappiamo – è la patria delle PMI, piccole e non di rado macroscopiche imprese, con progetti o prodotti spesso interessanti, che avrebbero un bisogno stringente di finanziamenti….ma se le condizioni rimangono tali, chi verrebbe a investire i propri soldi in Italia?
    Secondo gli analisti che hanno lavorato al report, il problema italiano è la mancanza di riforme strutturali, inaggirabili se vogliamo una volta per tutte risolvere i guai secolari che affliggono la nostra industria: macigno burocratico, lentezze legali, indebitamento.
    E proprio la crisi, ora in via di risoluzione, potrebbe fare da propulsore per interventi che al di là delle urgenze specifiche emergenti dal collasso finanziario, introducano innovazioni e miglioramenti strutturali; programmi di ampio respiro, che in altri tempi potrebbero essere difficili da fare approvare.
    Per la cronaca, riporto le prime dieci posizioni della classifica, presidiate da Paesi che nonostante siano stati duramente colpiti dalla crisi, hanno saputo mettere in atto diverse azioni di riforma.

    ANNO 2010

    1. SINGAPORE (1 NEL 2009)
    2. NUOVA ZELANDA (2)
    3. HONG KONG, CINA (3)
    4. STATI UNITI (4)
    5. REGNO UNITO (6)
    6. DANIMARCA (5)
    7. IRLANDA (7)
    8. CANADA (8)
    9. AUSTRALIA (9)
    10. NORVEGIA (10)

    Quindi ecco qui gli altri quattro, e così sono cinque.
    Che per me sono le azioni necessarie per raddoppiare il PIL del turismo.
    Loro?
    Beh, diranno sempre le solite cose ... ma vai a spiegarglielo.

    Simone Di Gregorio … e me

    giovedì 19 agosto 2010

    I Baroni de La Sapienza e la Principessa Ifigonia

    La mia opinione sulla gran parte delle Università italiane preposte al turismo è oramai risaputa.
    Anche nelle più piccole sfaccettature.
    Infatti di queste ne ho talmente “pena”, che se le potessi giudicarle pena-lmente, diventerebbero una “pena” piena o molteplici ergastoli a vita!
    Ma non è certamente questo quello che conta o che può importare, come ben poco importa la loro opinione nei confronti di chi li ostenta.
    Sono i fatti e i risultati che contano, il resto è solo aria fritta.
    Una massa di … vabbè, lasciamo perdere che è meglio.
    Comunque conta o non conta, apro il giornale e leggo che i “potentati” della La Sapienza di Roma, avranno altri dieci anni per deliziarci delle loro edotte conoscenze e grande dottrina.
    Noi siam felici, noi siam contenti; le chiappe del cul porgiam riverenti; intonavano le Vergini de "La Principessa Ifigonia" qualche tempo fa, dove il Gran Cerimoniere di rimando: “Adesso andate tutti fuori dai coglioni, per lasciar posto a Principi e Baroni…”
    Solo che il posto non lo lasciamo noi, no, sono loro che se lo tengono ben stretto e per non "perderlo" si sono studiati anche questa che segue...
    ... infatti l’Università di Roma La Sapienza, in linea con il generale sentire del Paese e con il bisogno di apertura alle giovani generazioni, ha appena aperto le posizioni per il titolo di Professore Senior Sapienza e Ricercatore Senior Sapienza.
    In una parola, con questo titolo di nuova coniazione, i professori obbligati per legge dello Stato ad andare in pensione attorno ai 65 anni possono mantenere il “careghino” sino al 75° anno, mentre "quelli" del turismo potranno, per altri 10 anni, continuare a seminare … boh (?), forse è meglio dire, a raccogliere.
    Quind ecco come, in seguito certamente emulati da chissà quanti e quali altre Università, si aggirano le leggi generali dello Stato.
    Vi sembra giusto (?) ... alla faccia del rinnovamento o dell’innovazione.
    Stessa identica cosa è accaduta con i concorsi (cambiate le regole, ma non riaperti) e con molte altre questioni.
    Come vedete La Sapienza, nei fatti, dimostra quello che vuole essere spesso, un arroccamento di privilegi, e in particolare per i più anziani.
    E generalizzando … alcuni nel mondo e in Italia si chiedono ancora perché nelle graduatorie sulle migliori università del mondo, i nostri atenei facciano sempre una pessima figura, mentre Paolo Bertinetti, preside della facoltà di lingue e letteratura a Torino afferma di «non aver mai conosciuto nessuno che sia diventato professore solo in base ai propri meriti». Stefano Podestà, ex ministro dell’Università nel 1996 ha dichiarato: «I rettori italiani? La metà di loro è iscritta alla massoneria». Mentre, dati alla mano, Carlucci e Castaldo (Un Paese di Baroni) scrivono che «i rettori hanno famiglia in 25 delle 59 università statali italiane. Quasi il 50% (il 42,3 per l’esattezza) ha nella medesima università un parente stretto, quasi sempre un altro docente». Più chiara ancora la ricostruzione di un dialogo tra docenti nella deposizione rilasciata all’autorità giudiziaria da Massimo Del Vecchio, professore di matematica a Bari – «Se non vengo io, tu non sarai nominato preside» – «Che cosa vuoi in cambio?» – «Due miei parenti falli entrare…». Carlo Sabba, uno dei professori che si è ribellato al sistema dei concorsi truccati, conclude amaramente: «Se non si spezza questa catena, i giovani saranno a immagine e somiglianza di chi li ha arruolati, e tutto rimarrà uguale».
    Privilegi, concorsi truccati, reti di parentele intrecciate, infiltrazioni mafiose, gerarchie nazionali su chi comanda e dove, criteri gerontocratici di scelta, lobby bianche, rosse e nere, intrecci politici ed economici nella selezione dei docenti fa un effetto devastante agli occhi del globo intero.
    Basta leggere cosa dice il Cnvsu, il Comitato di valutazione universitaria: il 90,2% dei docenti vincitori di concorso dal 1999 al 2007 provenivano dallo stesso ateneo che aveva messo a bando la cattedra. Con l’autonomia universitaria del 1999 poi (finanziaria e contabile) si sono moltiplicati i docenti e i corsi di laurea più bizzarri. Gli insegnamenti sono raddoppiati: da 85mila a 171mila. Con una proliferazione che non ha eguali nel mondo: in Italia esistono 24 facoltà di Agraria, in California tre, in Olanda solo una.
    Forse è anche per tutto questo che secondo i dati Ocse del settembre 2008 solo il 17% della popolazione italiana tra i 24 e i 34 anni ha conseguito una laurea (contro la media dei paesi Ocse del 33%) e solo il 45% degli iscritti arriva alla laurea, meno del Cile e del Messico e sotto la media Ocse del 69%?
    Quelli del turismo?
    Beh, sono sicuro che il Cnvsu che ha fatto questa statistica, le "cariatidi" del turismo non l'abbiano calcolati a parte, quindi … ce li teniamo anche loro per altri dieci anni; tanto il turismo, in Italia, va proprio "tanto, assai, molto" bene, no?
    Ma si, facciamoci del male.
    Con l'aiuto "involontario" di Antonino Saggio e Iacopo Gori

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