giovedì 5 agosto 2010

La crisi del turismo italiano






Siamo sempre stati abituati a considerare l’Italia la grande patria internazionale, l’archetipo stesso, del turismo: come diceva un notissimo politico in un noto intervento presso il Parlamento europeo: "qui in Italia abbiamo il mare, abbiamo il sole, abbiamo i monumenti: insomma, con qualche pizzicata di mandolino, chi c’ammazza più ?"
In fondo il turismo è un settore dell’economia immutabile come il bel tempo e le lunghe spiagge bagnate dal mare Mediterraneo: del turismo si beneficia come si gode di una giornata di sole: sdraiati beatamente a pancia in su.
E allora come mai anche in questo settore l’Italia arretra? Per quale arcano meccanismo l’Italia viene scavalcata ogni anno da nuove mete turistiche à la page ? In fondo abbiamo il buon vino, il buon cibo, le città d’arte: perché la verità è che anche se ci arrabbiamo quando all’estero ci ritorcono contro questi cliché siamo i primi ad esserne schiavi e siamo i primi, anche in questo campo, a confondere l’amore per la tradizione per un comodo spirito di reazione.
La verità è che il mondo cambia e gira anche se noi restiamo fermi e mettiamo la testa sotto la sabbia per non vederlo né sentirlo mentre si muove: finché non ci svegliamo un bel giorno e scopriamo che anche l’ultima, “imprendibile” roccaforte dell’economia italiana, il turismo fiore all’occhiello del bel paese, ha cominciato a contrarsi come un fico appassito al sole.
Da qui probabilmente il famoso detto: In Italia di turismo non né capiscono un fico secco.
Certo, alcune delle cause sono esterne, e non dipende certamente da una nostra negligenza il fatto che si aprono le frontiere verso nuove terre esotiche, rilasciando il loro inebriante profumo.
E altrettanto certamente, altre cause interne sono così lampanti e sconcertanti da non dover nemmeno essere ricordate, se non per inciso: primi fra tutti lo scandalo dei rifiuti o quello della mozzarella alla diossina, e poi tante altre belle “cosette” che puntualmente ogni anno si ripetono e che hanno inflitto ferite mortali all’immagine da cartolina del bel paese e della sua gastronomia, e che di certo stridono parecchio con tendenze nuove e importanti come il turismo ambientale, che stanno andando sempre di più a sostituire il turismo tradizionale a base di località balneari, montane o città d’arte.
Ci sono però degli aspetti meno evidenti in questa crisi che si ricollegano in modo diretto a quella che è la struttura stessa del tessuto dell’economia italiana: la frammentazione in piccole medie imprese (elemento di ricchezza della nostra economia ma insufficiente a reggerne da sole l’intero peso), l’immobilità tecnologica (o sarebbe forse meglio parlare di arretratezza), e infine ma sicuramente collegata ad esse l’incapacità di coordinare a livello statale e a livello privato attività serie di investimenti e operazioni di ampio respiro.
Facendo una rapida radiografia per punti risulta evidente il modo in cui si genera, si articola e si amplifica questa crisi:
1) La presenza quasi esclusiva, anche nel settore ricettivo, di piccole medie imprese, incapaci per ovvi motivi endogeni di sviluppare economie di scala e destinate in teoria a ruoli più di nicchia o di completamento e integrazione ma che in Italia si trovano a svolgere l’ assurdo ruolo di colonna vertebrale dell’intero sistema secondo una visione ampiamente superata dallo spirito dei tempi.
Senza dover arrivare a volumi di affiliazione di tipo americano è ormai diffuso nelle regioni economicamente più avanzate d’Europa, un’ampia offerta alberghiera basata sui principi dell’affiliazione, che in virtù delle proprie dimensioni possono perseguire economie di scala.
E quindi offrire tariffe più convenienti e gestire sia dal punto di vista operativo sia dal punto di vista economico massicce campagne di marketing sui mercati esteri per attrarre turismo e contrastando quell’atteggiamento di attesa passiva che sembra così diffuso in Italia. Per fare questo servono sforzi da parte di privati ma anche operazioni di coordinamento e di incentivo da parte delle strutture e degli enti statali e locali.
2) Quest’indolenza si manifesta anche nell’incapacità e nell’assenza di una volontà di investire seriamente nel settore: una scarsa propensione all’investimento che è figlia di una mentalità chiusa dei privati ma anche dell’inerzia (o dolce far niente) dello stato, che pure proprio in attività di ampio respiro come queste, di stimolo agli investimenti e di finanziamento diretto degli stessi, può e "dovrebbe" svolgere uno dei sui ruoli economici più preziosi.
Qui si pensa soprattutto agli animali domestici e ai Bonus Vacanze per risolvere la crisi del turismo.
Per carità, sono cose utili anche queste, ma magari anziché elencarle ai media un tre per due, si dovrebbe usare questo tempo per pensarne delle altre.
Vabbè, ho capito che con questi è dura, ma almeno che ci provino.
Perché contrariamente ai luoghi comuni non sono soltanto i settori tecnologici, ma anche il settore turistico a necessitare interventi di coordinamento e di investimento, di potenziamento delle infrastrutture necessarie per la valorizzazione delle località turistiche, di attività coordinate di promozione dotate di respiro unitario e di struttura organica.
L’arretratezza tecnologica dell’Italia e la scarsa diffusione di Internet rispetto agli altri paesi europei, che comporta anche una scarsa dimestichezza con il mezzo da parte degli stessi operatori turistici e ha come diretta conseguenza un’offerta, a partire dagli stessi siti Internet, di bassa qualità e di profilo amatoriale, inadeguata a sfruttare il ruolo sempre crescente della rete in chiave di “agenzia di viaggi” globali ed il correlato fenomeno low cost: sebbene in Italia quasi tutte le strutture ricettive abbiano un sito Internet, l’aspetto grafico e contenutistico, oltre che la struttura dei servizi offerti online, sono fermi all’era del boom delle new economy e a un modo di fare web vecchio di 10 anni.
Pagine destinate a molti abbandoni e poche conversioni, che non trovano un degno contrappeso nelle dimensione ancora piuttosto atrofizzate dei portali e dei motori di ricerca turistici di ambito nazionale: ogni visita mancata, ogni visitatore respinto, ogni conversione svanita segna un piccolo punto negativo in questo bilancio di per sè già ampiamente gravato. In questo senso il ricordo della tragicomica storia del portale Italia.it può assurgere a simbolo di questo stato di cose.
3) Le stesse persone messe nei posti “chiave” e che da decenni ci hanno fatto cadere in questa situazione antiquata e stagnante. Gli insegnamenti non certo all’altezza dei nostri concorrenti, la qualità, la voglia di fare, ma soprattutto l’amore e la conoscenza di questo comparto.
Il business.
E’ diventata soltanto una questione di business (rare accezioni a parte) che è anche giusto ci sia, ma non certamente da ricercare nella maniera che si “vede” e a qualsiasi costo, senza offrire granché in cambio.
Il “guadagno” maggiore si ottiene sempre con una serie infinita di numeri, dove quello del dare (qualità generale) non è mai convergente o divergente dal numero dell’avere, ma sono due rette parallele infinite.
Ma vai a spiegarglielo a sti “santoni” qua.
Insomma, il sole c’è ancora, le spiagge e il mare anche (anche se forse un po’ più inquinate), su questo non c’è dubbio: quello che comincia a scarseggiare, a quanto pare, sono i turisti: e se, come dice la stragrande maggioranza degli economisti, le fasi di crisi sono quelle in cui si deve investire, il lavoro qui in Italia sicuramente non mancherà.
E invece manca; quindi qualcosa non và.
E io continuo a pensare che la colpa sia dei gran “parlatori” del turismo.
Lupus ulula lì, lupus ulula là; neanche fosse una canzonetta.
Antonio De Giovanni e me.

8 commenti:

  1. Non so se hai visto la conferenza stampa di oggi.
    Si scopre che su 5 milioni di BV, di fatto, ne hanno erogati solo la metà.
    E che le prenotazioni erano 5 volte tanto (in pratica solo il 20% di chi ha prenotato è poi andato in banca a versare il resto).
    Quindi siccome "è andata molto bene" [cit. MVB] (urca!) proroga al 20 dic. + altri 5 milioni sino al 3 lug. 2011.
    Peraltro 'sti buoni per lo più se li prendono gli hotel (3stelle per il 60%) e per lo più in Emilia, a quanto pare.
    Tralascio il resto.
    Ma, grande novità, questa volta hanno fatto domande (e bisogna sentirle per rendersi conto del livello medio dei giornalisti/e presenti).
    E chiaramente è arrivata, immancabile, l'ennesima presa di posizione sugli animali, ecc. ecc.
    Era meglio se rimaneva a Menton, imho.

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  2. Ciao Frap, mi ci tuffo con un carpiato.
    ;-)

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  3. Attento al cordolo della piscina, non vorrei che sapendolo la MVB la sposti per fartici pigliare una "zuccata".
    ;-)

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  4. Sono appena tornato da un una vacanza itinerante nel nord della Francia e ho notato alcune cose che si riallacciano alla discussione.
    Ho sempre pernottato in alberghi appartenenti a grosse catene come premier classe, b&b, formula 1 ecc (inesistenti in Italia) e ho sempre speso cifre inimmaginabili qui in italia.
    Per una doppia spendevo cifre dai 45 e 60 euro, tutti gli alberghi erano dotati di reti internet gratuite senza fili inoltre potevi pernottare a tutte le ore con sistemi automatici.In ogni ristorante potevo ordinare senza vergognarmi una "caraffe d'eau" gratuita evitando di buttare soldi in inutili bottiglie di sanpellegrino.
    Io penso che per un turista tutte queste cose contino.

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  5. Eccome, caro Davide, eccome.

    E hai centrato il bersaglio con pochissime parole, la differenza stà tutta in quelle poche righe...voglia e saper fare.
    Ciao

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  6. purtroppo il turismo pare sempre sottovalutato come risorsa quando invece rappresenta una delle fonti + importanti per il nostro paese

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  7. @hotel cilento

    Se non la più importante!

    :-D

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