Non c’è niente che faccia più rabbia e danno economico agli albergatori che digitare il proprio brand name su Google e veder comparire in testa ai risultati di ricerca i link a pagamento di OTA e portali, che per tutto l’anno guadagnano sfruttando il nome del loro hotel e quello di molti altri.
Sebbene la maggior parte delle strutture condannino questa attività come illecita e scorretta nei confronti degli hotel, il “brandjacking” (o SEM hijacking) è accettato e tollerato da Google, che ne trae enormi benefici economici: gli investimenti PPC da parte dei portali sui brand name degli hotel affiliati ammonterebbero infatti a un 20% del totale delle loro campagne Adwords.
Si tratta di fatto di una pratica fortemente anti-disintermediazione molto diffusa tra i portali turistici, che causa un doppio danno all’hotel: una lievitazione dei costi Adwords legati al proprio brand-name, per il quale si viene a creare una competizione che a ragion di logica non dovrebbe neppure esistere, e soprattutto la perdita di traffico qualificato destinato al sito ufficiale.
È chiaro infatti che se un utente sta cercando sui motori di ricerca “Hotel Excelsior Pavia”, è probabilmente vicino alla conclusione del proprio processo di acquisto, ma se in testa alle proprie ricerche troverà i risultati sponsorizzati di Expedia o Booking.com, sarà immancabilmente spinto a cliccare su quei risultati e a prenotare sull’intermediario, ignaro dei vantaggi che potrebbe avere prenotando sul sito ufficiale.
Gli hotel perdono più di 2 miliardi di dollari l’anno per questa pratica.
A quantificare i danni e le perdite causate dal “brandjacking” è stato MarkMonitor, azienda statunitense specializzata nella protezione della brand identity on-line.
Grazie a un approfondito studio dedicato a queste tematiche, è stato rilevato che “Il pagamento di commissioni non necessarie e il traffico online perso a causa dei competitor, stanno costando ai grandi brand alberghieri oltre due miliardi di dollari all’anno. Più di 580 milioni di visite da parte di viaggiatori altamente qualificati sono deviate dai siti ufficiali degli hotel verso quelli di partner o competitor, che raggiungono per primi i clienti grazie alle ricerche a pagamento e altre tattiche on-line.”
Presi in esame 5 dei maggiori brand del settore alberghiero nei primi mesi della primavera 2011, assieme a siti e-commerce e campagne di e-mail marketing, sono stati analizzati oltre 1,3 milioni di annunci legati a circa 4 mila combinazioni di parole chiave contenenti i brand, al fine di stimare il traffico generato sia nel periodo analizzato che nel corso di un intero anno.
Come potete vedere dai grafici a fianco, le OTA rappresentano quasi la metà degli Advertiser che acquistano pubblicità a pagamento sui motori di ricerca e appartiene a loro il 77% degli annunci a pagamento. Sono molti anche gli hotel che sfruttano il marchio di altre strutture per farsi pubblicità, ma rispetto alle OTA, i loro annunci sono una parte infinitesimale del totale.
Lo studio ha identificato più di 1.750 portali online che hanno acquistato parole chiave legate al brand di uno o più hotel di quelli monitorati.
Come tutelarsi dal brandjacking?
In passato già Marriott e Hilton si sono battuti contro i portali perché ripulissero le proprie campagne marketing del loro brand: di fatto solo grandi catene alberghiere a livello internazionale possono permettersi di opporsi alle logiche di mercato dominate da Google e dai portali.
Le strutture medio-piccole e indipendenti invece non possono fare molto per tutelarsi. Alcuni sono convinti che sia importante trattare con i portali perché nei contratti siano inserite clausole che limitino l’abuso del brandjacking.
D’altra parte, poche strutture hanno un tale peso da avere voce in capitolo sul singolo contratto, dunque di fronte all’attuale situazione, pur di non rimanere con le mani in mano, c’è un’unica cosa da fare: investire un piccolo budget per fare PPC sul proprio brand name e veicolare traffico qualificato direttamente al sito ufficiale.
Da quando facciamo campagne pay-per-click su Google Adwords per i nostri clienti, anche noi dedichiamo sempre un certo budget a parole chiave legate al brand name. Sì, può sembrare un’assurdità: molti hotel ci chiedono come mai devono spendere denaro su parole chiave che comunque produrrebbero come primo risultato organico dei motori di ricerca il sito ufficiale del loro hotel.
Non pensate che si tratti di un investimento inutile: i dati da Adwords e Google Analytics rivelano che le sole prenotazioni effettuate tramite questi annunci a pagamento ripagano di gran lunga la spesa sostenuta per mantenere la campagna.
Per proteggere il proprio brand on-line è importante fare in modo che la sua presenza sia diffusa su tutta la Rete e che su ogni canale il cliente possa trovare un profilo tramite il quale poter raggiungere facilmente il sito ufficiale senza imbattersi nei competitor.
Fonte: Bookingblog
Report accurato e puntuale. Complimenti. Mai parlare di etica nel turismo ma questo è un altro duro colpo......
RispondiEliminaBravo Luciano. Quando non ti prendono i raptus anti-Brambilla scrivi ancora meglio.
N.Z.
Eh vabbè, ma in questo caso sarebbe un lavoro e non un divertimento come invece è quel "raptus pro" Brambilla and co.
RispondiEliminaEppoi qualcuno che evidenzi le grandi "verità" della Sciura ci vuole.
Costruttivamente s'intende.
;-)