C’era
una volta, in una scuola pericolante, Luciano, un bambino spigliato e ambizioso
con un problema: era adorato dai compagni delle altre classi, ma detestato da
quelli della sua.
Gli
tiravano i capelli, gli pestavano i piedi e appena si girava gli facevano lo sgambetto.
«Vattene!», gridavano.
«Tu
non sei come noi. Hai gusti troppo diversi mentre a noi piace giocare a
scannarci l’un l’altro, però tutti insieme, fingendo di essere amici. Tu invece
vuoi sempre fare giochi nuovi e non ti metti mai in fila».
Per
tutta risposta il bimbo si candidò capoclasse, chiedendo all’intero istituto di
votare per lui.
E
forse sarebbe accaduto davvero, se una bambina vecchissima, la sindacalista
della classe, non avesse bloccato le porte dell’aula all’ultimo momento.
Il
bimbo fu sconfitto, ma rimase seduto al suo posto, tranquillo.
Beh,
più o meno, anche perché usciva di continuo in corridoio a prendersi gli
applausi delle altre sezioni.
Ma
poi tornava sempre nella sua.
Un giorno alcuni compagni
riuscirono a farlo inciampare dalle scale e con le ginocchia sbucciate, il
bambino venne convocato in presidenza: «Ho deciso di spostarti in terza D»,
esordì severo il preside.
«Lì
tutti ti amano e ti eleggeranno primo della classe per acclamazione».
Il
bambino pestò i piedi. «Non voglio lasciare la mia aula, io sono un alunno
della terza C!».
«Ma
quelli della C ti odiano!» disse l’anziano professore in tono ultimativo.
Il
bambino estrasse un sorriso duro: «E’ proprio per questo che mi piacciono.
Vedrà, signor preside, io li cambierò».
Il
preside gli diede un buffetto. «Non ho ancora capito se mi fai tenerezza o
paura. Comunque per oggi torna a posto, Luciano».
Il tempo passava inesorabilmente, e i compagni di
classe cominciarono ad apprezzare sempre di più quel bimbo un po’ strano (per
loro) e andò a finire che Luciano terminò i suoi studi nella terza C.
E tutti vissero felici e contenti …
Di Massimo Gramellini e riadattata da e per me.
P. S.: E se qualcuno pensa che prima o poi mi arrenderò sul voler fare il "mio" turismo anche nel mio Paese, beh; prendetemi pure a schiaffi e sonore pedate, ma non cederò mai neanche di un solo millimetro, anzi ...
... anche perché mi ci diverto, mentre la fila dietro a degli incompetenti non la farò mai.
E alla fine, maledetti brutti e schifosi, mi amerete ... o forse no!
... anche perché mi ci diverto, mentre la fila dietro a degli incompetenti non la farò mai.
E alla fine, maledetti brutti e schifosi, mi amerete ... o forse no!
quante affinità abbiamo in comune!
RispondiEliminacon stima.GFC
P.S. grazie della correzione.
@BRANCA DORIA
RispondiEliminaEh si, credo proprio di si.
:)
Lo scorso 4 aprile è entrata in vigore la nuova legge del settore turistico-alberghiero, con la quale la regione Liguria ha meglio definito la natura programmatica ed urbanistica del vincolo di destinazione d’uso ad albergo. Infatti, se prima la Regione aveva un ruolo anche gestionale sulle pratiche presentate dai singoli proprietari di strutture turistico-ricettive, ora spetterà direttamente al comune di pertinenza occuparsi della loro gestione.
RispondiElimina“ In pratica, con l’entrata in vigore di tale legge, si è mantenuto fermo l’intento di tutelare le strutture alberghiere, ma senza applicare il cosiddetto “accanimento terapeutico” - dice l’assessore al turismo, Angelo Berlangieri -" Abbiamo voluto mettere i comuni, ai quali compete la gestione del proprio territorio, nelle condizioni di avere tutti gli strumenti necessari per far si che gli alberghi restino tali e si migliorino, senza dover, tuttavia, costringere coloro che non riescono a mantenere la struttura funzionante se è non più redditizia e competitiva”.
Altra novità della legge 4/2013 è il cambiamento della procedura che è stata snellita e semplificata in modo che gli operatori possano avere tempi certi relativamente alla pratica presentata in comune. Novanta giorni è il tempo massimo che il comune ha a disposizione per poter accogliere o respingere l’istanza di cambio di destinazione della struttura. Nel caso in cui la risposta fosse positiva, non è più necessario presentare sempre una variante urbanistica. Erano proprio le lungaggini burocratiche a mettere in seria difficoltà imprenditori che, più volte, si sono trovati ad aver concluso l’iter dopo anche due anni e di non essere più interessati a sostenere l’intervento ormai non adeguato alle nuove esigenze di mercato. “Ma per poter accogliere la richiesta di cambio d’uso della destinazione alberghiera - precisa Berlangieri - è necessario che l’immobile si trovi in una situazione tale da non riuscire più ad essere competitivo oppure che, pur trovandosi in una zona turistica, non sia possibile, in ogni caso, recuperarlo. Inoltre è obbligatorio per i proprietari dell’immobile acquisire il consenso formale degli eventuali gestori o affittuari. “
Tra le tante novità introdotte il comune può concedere una parziale trasformazione della destinazione d’uso fino ad un massimo del 40% del volume geometrico originario per gli alberghi in attività, che dimostrino una gestione d’impresa che non consenta di fare investimenti tali da riqualificare l’azienda in sofferenza. Anche in questo caso, il ricavo della parte svincolata, dovrà finanziare un nuovo albergo con le stesse caratteristiche minime di cui al caso precedente. “ In tal modo si è voluto aiutare gli alberghi in difficoltà e che non sanno come uscire da una crisi che, in effetti, sta mettendo a dura prova la categoria - conclude Berlangieri -. Credo che i sindaci che sapranno utilizzare al meglio la nuova legge avranno in mano uno strumento valido sia per recuperare alla ricettività gli immobili alberghieri chiusi sia per favorire i processi di riqualificazione delle strutture in attività favorendo così la crescita di un settore come quello turistico, fondamentale per l’economia locale.”
@Luciano
RispondiEliminaEsemplare come al solito
:-D
@Luciano
RispondiEliminaA chi è rivolto?
;-)
@Luciano
RispondiEliminaLa meritocrazia in Italia non esiste. Non esiste perché noi stessi rifiutiamo che essa esista in quanto davanti ad un’Alternativa, scegliamo sempre quella più semplice e più comoda per noi, anche quando significa compiere un’azione disonesta. Ormai è di moda definirsi “meritocratici”, fa tendenza e dà una certa dose di fascino che non si avrebbe senza questa auto definizione. La meritocrazia non è però un sentimento astratto, un evento intangibile, un azione non visibile. La meritocrazia è un principio educativo, un fattore determinante di una cultura civile, un modo di essere e di esistere. La meritocrazia in Italia non esiste. Non esiste perché c’è una profonda crisi culturale prima che economica che ha intaccato il nostro vivere civile e i nostri costumi. Per far tornare la meritocrazia tra noi, ci toccherebbe compiere un grande sforzo. Dovremmo tornare ad essere onesti, prima che con gli altri, con noi stessi. Dovremmo riconoscere più che il merito degli altri i nostri limiti. Dovremmo capire davvero qual è il nostro ruolo sociale. Se il sistema meritocratico fosse stato attuato in Italia negli ultimi vent’anni, tutti noi ci saremmo risparmiati vent’anni di berlusconismo con annesse soubrette, spogliarelliste e pornostar. Oggi non mi vergognerei così tanto di essere italiano quando viaggio. La meritocrazia in Italia non esiste, eppure è tanto “cool” autodefinirsi così, senza un legittimo perché.
@Francesco
RispondiEliminaLa meritocrazia in Italia non esiste, eppure è tanto “cool” autodefinirsi così, senza un legittimo perché.
:)