Oggi due righe su un grande della
storia italiana.
Uno di quei GRANDI davvero e mica di
quei grandi caproni di cui ogni tanto ne scrivo qua le improponibili
gesta.
Il GRANDE che intendo è Gino Bartali
che inconsapevolmente ha dato il nome a questo blog e che nacque
proprio 100 anni fa: il 18 luglio 1914.
Un secolo esatto da quando una giovane
donna di Ponte a Ema, praticamente Firenze, partorì senza osarlo
immaginare un'icona grandiosa del secolo scorso.
E che diventato uomo avrebbe impiegato
il suo tempo nel modo migliore possibile, come sarebbe piaciuto al
suo Dio e pure a Seneca, il filosofo della vita misurata in opere,
non in minuti di vana, finta e inutile gloria.
Per diventare poi quel nonno mitologico
e amatissimo, il giovane uomo che l'ha preceduto s'è dato un gran da
fare.
Certo con imprese da campione.
Ma non solo.
Non sarebbero bastate.
Gino Bartali è riuscito ad essere ben
altro: un vero esempio di grandezza, partendo dalla semplicità più
scarna e più francescana.
E con Coppi fu l'altra metà semplice
della mela.
L'altro era complesso, macerato,
contorto: lui lineare e tutto d'un pezzo.
Semplice senza paura di essere anche
sempliciotto.
Ma dannatamente convinto, dannatamente
tenace, dannatamente pronto a ripartire dopo ogni batosta.
Perché Gino credeva in Dio, nella
Madonna, nei santi e nelle pregheire.
Era così.
E dandogli del bacchettone capitava
regolarmente che mandasse tutti a quel paese, perché la sua fede non
sapeva solo di cera e d'incenso, ma di fatti e opere vere.
Certo, la spola tra Firenze e Assisi
con le lettere arrotolate nel telaio per salvare gli ebrei, pedalate
che più del Tour gli sono valse l'albero dei Giusti a tanti anni di
distanza.
Ma non solo questi eroismi.
Gino era devoto alla famiglia, era
devoto a quell'Azione cattolica, era devoto all'amatissima Patria.
Era il simbolo di un italiano
particolare, razza poi in velocissima estinzione, fino ai livelli
odierni da riserva protetta del Wwf: era l'italiano che crede in
pochi valori, elementari e grezzi sin che si vuole, ma grezzo come
può esserlo un diamante.
I valori del dovere civile, della
serietà, del lavoro, del rigore morale.
Dall'altra parte lo guardavano di
sbieco, lo irridevano perché non si fosse messo la tonaca, lo
sospettavano d'essere al soldo dell'America o almeno del padronato, ma pure loro quando se lo vedevano al Musichiere, cantando
sgangherato con il più sgangherato Fausto, non potevano negargli la
virtù immensa di una grandiosa carica interiore, quella che
universalmente, in ogni tempo, nobilitiamo con il nome di umanità.
Chiedi chi erano i Beatles, cantiamo
ogni tanto ai nostri ragazzi.
Vorremmo sapessero di un'altra epoca e
di un altro mondo.
Ci piacerebbe chiedessero di Kennedy e
del “Che”, di Woodstock e di Bob Dylan.
Eppure non sarebbe male che ogni tanto
noi e loro, noi padri di oggi e loro figli di oggi, guardassimo anche
all'Italia di Coppi & Bartali.
Per sapere che certo non potrà mai più
tornare.
Ma più ancora per convincerci della
legge intramontabile che l'ha animata e così dolcemente abbellita:
niente e impossibile a chi crede, a chi ha qualcosa di buono dentro,
come Gino.
Di Cristiano Gatti e poco di me
@Luciano
RispondiEliminaCerto che gli assomigli molto molto molto.
E non solo per il nome di questo blog.
@Sergio
RispondiEliminaSsssssshhhhh
:)
Forse solo nel fatto che mi guardano di sbieco, che mi prendono in giro (irridere) e che sono sgangherato.
RispondiElimina:)
@Luciano
RispondiEliminaI nomi di Coppi e Bartali dovrebbero essere incisi nella segnaletica stradale di ogni città in cui sono passati in sella alle loro biciclette, cioè in tutta Italia, affinché i nostri giovani possano prendere stimolo dai loro sudati e meritatissimi successi...
...e cancellare quello di ogni uomo o donna (o altro) politico da trent'anni e più a 'sta parte...
^_^
@Jennaro
RispondiEliminad'accordo su entrambe le tue proposte.
:)