Ormai sono anni che lo vado scrivendo e dicendo da tutte le parti, ma con ben poco successo, che prima di pubblicizzare un prodotto bisogna accertarsi che quello sia buono.
Per carità, lo si può fare anche contemporaneamente ma dando l'assoluta priorità a quel prodotto.
Ora in mio aiuto arriva niente meno che Gian Antonio Stella col suo fondo sul Corriere della Sera che spiega il perché nel 1950 i viaggiatori stranieri che avevano scelto il nostro Paese erano il 19%, oggi sono appena il 4,4.
Eh già, e tutti dati ripetuti qui milioni di volte.
Ma ne "rubo" qualche brano.
Uno su cinque veniva da noi, dei turisti internazionali, nel 1950: adesso uno su ventitre. È cambiato il pianeta, d’accordo, ma una frana così non l’ha subita nessuno. Andiamo giù nonostante il boom mondiale. Andiamo giù nonostante il turismo sia «l’industria del futuro». Nonostante l’Italia, coi suoi tesori e la sua cucina e i suoi paesaggi, resti in cima ai sogni di tutti.
Da allora, la nostra quota si è ridotta di decennio in decennio dal 19% del 1950 al 15,9% del 1960 e poi al 7,7% del 1970 (quando eravamo comunque i primi davanti al Canada, alla Francia, alla Spagna e agli Stati Uniti) e giù giù, dopo una breve risalita nel 1980, fino al 6,1% del 1990 (rimasto tale fino al 2000) per poi calare ancora al 4,6% del 2010 e infine al 4,4% di oggi. Certo, si sono aperti nuovi mercati, si sono spalancati nuovi Paesi, si sono arricchiti e messi in movimento nuovi popoli di viaggiatori. E c’è poco da piangere sul destino cinico e baro. Era un destino ineluttabile. Del quale hanno fatto le spese anche la Francia, la Spagna o gli Stati Uniti. Quello che fa rabbia, però, è che nessuno è andato giù quanto siamo andati giù noi. E soprattutto che nessuno ha approfittato poco quanto noi del boom del turismo mondiale. Un boom mai visto.
Due numeri: dal 1950 ad oggi i turisti stranieri che vengono in Italia si sono moltiplicati per 10 volte: da 4,8 a 47,8 milioni. Ma l’immenso popolo di turisti del mondo, grazie all’impetuoso arricchimento soprattutto della Cina, della Corea e altri Paesi asiatici si è moltiplicato per quasi 43 volte. Il che significa che noi siamo riusciti a fare nostra soltanto una fetta molto piccola della torta.
Eppure per via della nostra ricchezza culturale, della gastronomia, della moda etc., secondo il Country Brand Index che misura la popolarità dei marchi di 118 Paesi, l’Italia è nei primissimi, se non proprio la prima, nell’immaginario dei potenziali visitatori stranieri.
Perché?
Come mai?
Mancano le strategie e manca il buon rapporto tra la qualità e il prezzo, anzi, in alcuni casi facciamo proprio pena.
Il turismo non è mai stato, e non è tuttora, un’opzione di sviluppo economico presa seriamente in considerazione dalla politica.
La mancanza di cultura dell'ospitalità ... troppi bidoni ai turisti, troppi disservizi, troppa scortesia verso chi viene a trovarci. Come se tutto ci fosse dovuto in quanto Paese più bello del mondo.
Per non parlare delle infrastrutture che vengono usate per raggiungere l'ambita meta e delle strutture che li ospitano.
Una differente classificazione alberghiera tra una Regione e l'altra (e qui siamo alle solite, neh); una tassa di soggiorno discordante tra tutti i circa 500 comuni che l'hanno adottata (ce ne fosse una uguale all'altra) e che spiazzano il turista più propenso e buono ma indifeso da tanta stupidità ... ma soprattutto, e questo a mio personale parere, manca la qualità.
Quella qualità che dovrebbe riscontrarsi già dall'arrivo di quel benedetto cliente che ci viene a portare i suoi soldi, soldi che ci permettono di fare una vita normale.
Parlo del primissimo suo secondo e quindi non appena mette piede all'aeroporto, alla stazione ferroviaria, all'uscita dei caselli autostradali ... fino all'arrivo alla reception.
E poi di seguito in tutti quei posti dove lui metterà piede.
Mica si tratta di essere servili oltre il consentito della buona educazione; no di certo.
L'esperienza insegna a come uscire da qualsiasi impiccio o impaccio.
Oppure di prostrarsi a qualsiasi sua esigenza o di subire qualsiasi sua angheria nei nostri confronti (a volte può capitare con quelli maleducati).
E l'organizzazione?
Beh, tanto per fare un piccolissimo esempio ... a volta mi capita di vedere pubblicizzato un dato posto e nell'informarmi o addirittura recandomi (curiosità) sul posto, dove noto che non esistono mezzi di locomozione per arrivarci, oppure se nel qual caso ci sono, ecco che non li trovi nemmeno col lanternino.
Per non parlare di alcuni rifugi, baite e bla bla bla, che sono contornati da una bellezza da mozzafiato ma che nemmeno uno stambecco da circolo equestre riuscirebbe a raggiungere per via di sentieri sconnessi, pieni di cespugli e rovi che ormai hanno invaso il cammino, nonché sporchi da far paura.
Ma è mai possibile che tutta la "rumenta" la si debba buttare proprio lì?
Però li marketizzano a tutto spiano e la colpa non si sa mai di chi sia!
Poi ci sarebbe dell'altro ma per non fare notte è meglio che la finisco qui.
P. S.: Secondo le stime del Wttc (World Travel & Tourism Council), il valore aggiunto dell’industria turistica in Italia - le attività che possono considerarsi core business - è stato di 63,9 miliardi di euro, ovvero pari al 4% del Pil nazionale». Una quota bassissima. Che calcolando il valore aggiunto dell’intera economia turistica (dalle pasticcerie che forniscono i croissant agli alberghi alle sartorie che fanno le camicie per i camerieri) sale fino a «161 miliardi che corrispondono al 10,2% del Pil». Una percentuale assai lontana dai proclami guasconi di vari premier del passato o più recenti ministri del turismo, un po’ tutti concordi nel promettere «un turismo al 20% del prodotto interno lordo».
Per carità, lo si può fare anche contemporaneamente ma dando l'assoluta priorità a quel prodotto.
Ora in mio aiuto arriva niente meno che Gian Antonio Stella col suo fondo sul Corriere della Sera che spiega il perché nel 1950 i viaggiatori stranieri che avevano scelto il nostro Paese erano il 19%, oggi sono appena il 4,4.
Eh già, e tutti dati ripetuti qui milioni di volte.
Ma ne "rubo" qualche brano.
Uno su cinque veniva da noi, dei turisti internazionali, nel 1950: adesso uno su ventitre. È cambiato il pianeta, d’accordo, ma una frana così non l’ha subita nessuno. Andiamo giù nonostante il boom mondiale. Andiamo giù nonostante il turismo sia «l’industria del futuro». Nonostante l’Italia, coi suoi tesori e la sua cucina e i suoi paesaggi, resti in cima ai sogni di tutti.
Da allora, la nostra quota si è ridotta di decennio in decennio dal 19% del 1950 al 15,9% del 1960 e poi al 7,7% del 1970 (quando eravamo comunque i primi davanti al Canada, alla Francia, alla Spagna e agli Stati Uniti) e giù giù, dopo una breve risalita nel 1980, fino al 6,1% del 1990 (rimasto tale fino al 2000) per poi calare ancora al 4,6% del 2010 e infine al 4,4% di oggi. Certo, si sono aperti nuovi mercati, si sono spalancati nuovi Paesi, si sono arricchiti e messi in movimento nuovi popoli di viaggiatori. E c’è poco da piangere sul destino cinico e baro. Era un destino ineluttabile. Del quale hanno fatto le spese anche la Francia, la Spagna o gli Stati Uniti. Quello che fa rabbia, però, è che nessuno è andato giù quanto siamo andati giù noi. E soprattutto che nessuno ha approfittato poco quanto noi del boom del turismo mondiale. Un boom mai visto.
Due numeri: dal 1950 ad oggi i turisti stranieri che vengono in Italia si sono moltiplicati per 10 volte: da 4,8 a 47,8 milioni. Ma l’immenso popolo di turisti del mondo, grazie all’impetuoso arricchimento soprattutto della Cina, della Corea e altri Paesi asiatici si è moltiplicato per quasi 43 volte. Il che significa che noi siamo riusciti a fare nostra soltanto una fetta molto piccola della torta.
Eppure per via della nostra ricchezza culturale, della gastronomia, della moda etc., secondo il Country Brand Index che misura la popolarità dei marchi di 118 Paesi, l’Italia è nei primissimi, se non proprio la prima, nell’immaginario dei potenziali visitatori stranieri.
Perché?
Come mai?
Mancano le strategie e manca il buon rapporto tra la qualità e il prezzo, anzi, in alcuni casi facciamo proprio pena.
Il turismo non è mai stato, e non è tuttora, un’opzione di sviluppo economico presa seriamente in considerazione dalla politica.
La mancanza di cultura dell'ospitalità ... troppi bidoni ai turisti, troppi disservizi, troppa scortesia verso chi viene a trovarci. Come se tutto ci fosse dovuto in quanto Paese più bello del mondo.
Per non parlare delle infrastrutture che vengono usate per raggiungere l'ambita meta e delle strutture che li ospitano.
Una differente classificazione alberghiera tra una Regione e l'altra (e qui siamo alle solite, neh); una tassa di soggiorno discordante tra tutti i circa 500 comuni che l'hanno adottata (ce ne fosse una uguale all'altra) e che spiazzano il turista più propenso e buono ma indifeso da tanta stupidità ... ma soprattutto, e questo a mio personale parere, manca la qualità.
Quella qualità che dovrebbe riscontrarsi già dall'arrivo di quel benedetto cliente che ci viene a portare i suoi soldi, soldi che ci permettono di fare una vita normale.
Parlo del primissimo suo secondo e quindi non appena mette piede all'aeroporto, alla stazione ferroviaria, all'uscita dei caselli autostradali ... fino all'arrivo alla reception.
E poi di seguito in tutti quei posti dove lui metterà piede.
Mica si tratta di essere servili oltre il consentito della buona educazione; no di certo.
L'esperienza insegna a come uscire da qualsiasi impiccio o impaccio.
Oppure di prostrarsi a qualsiasi sua esigenza o di subire qualsiasi sua angheria nei nostri confronti (a volte può capitare con quelli maleducati).
E l'organizzazione?
Beh, tanto per fare un piccolissimo esempio ... a volta mi capita di vedere pubblicizzato un dato posto e nell'informarmi o addirittura recandomi (curiosità) sul posto, dove noto che non esistono mezzi di locomozione per arrivarci, oppure se nel qual caso ci sono, ecco che non li trovi nemmeno col lanternino.
Per non parlare di alcuni rifugi, baite e bla bla bla, che sono contornati da una bellezza da mozzafiato ma che nemmeno uno stambecco da circolo equestre riuscirebbe a raggiungere per via di sentieri sconnessi, pieni di cespugli e rovi che ormai hanno invaso il cammino, nonché sporchi da far paura.
Ma è mai possibile che tutta la "rumenta" la si debba buttare proprio lì?
Però li marketizzano a tutto spiano e la colpa non si sa mai di chi sia!
Poi ci sarebbe dell'altro ma per non fare notte è meglio che la finisco qui.
P. S.: Secondo le stime del Wttc (World Travel & Tourism Council), il valore aggiunto dell’industria turistica in Italia - le attività che possono considerarsi core business - è stato di 63,9 miliardi di euro, ovvero pari al 4% del Pil nazionale». Una quota bassissima. Che calcolando il valore aggiunto dell’intera economia turistica (dalle pasticcerie che forniscono i croissant agli alberghi alle sartorie che fanno le camicie per i camerieri) sale fino a «161 miliardi che corrispondono al 10,2% del Pil». Una percentuale assai lontana dai proclami guasconi di vari premier del passato o più recenti ministri del turismo, un po’ tutti concordi nel promettere «un turismo al 20% del prodotto interno lordo».