Di
terribile, in aggiunta al terremoto, c' è la reazione degli italiani
alla tragedia.
Una
retorica fatalista inquietante...
... in
tutti gli altri Stati evoluti a rischio tellurico anche più forti
ormai provocano solo il crollo di calcinacci e la morte di pochi
sfortunati.
Da noi no, malgrado chili di leggi antisismiche, miliardi
spesi negli anni per ricostruzioni e messe in sicurezza e accise sui
terremoti di mezzo secolo fa che ancora gravano sulla benzina.
Nell'
ora del lutto, ci spelliamo le mani per applaudire l' eroismo dei
soccorritori e dei cani della protezione civile che tirano fuori
dalle macerie più morti che vivi, ed è giusto così, non fosse che
si ha la sensazione che la gran parte della riflessione sull' evento
finisca qui.
A
ogni tragedia ci inorgogliamo, rallegrandoci l' uno con l' altro su
come noi italiani diamo il meglio quando siamo nella palta, ma non
sarebbe meglio chiedersi con meno orgoglio come mai nella palta ci
finiamo soltanto noi?
Un approccio polemico ma che forse aiuterebbe a
non finirci più.
Dedichiamo
a Giorgia estratta dopo 17 ore dalle macerie ogni ribalta, ma
qualcuno ha presente la faccia della sorella morta facendole scudo
con il suo corpo?
Qualcuno
ne ricorda il nome?
Il
Paese celebra i sopravvissuti e si attacca alla retorica per coprire
la propria inadeguatezza e impreparazione mentre è solo se
cominciasse a guardarsi allo specchio senza pietà nella sua misera
realtà che forse la tragedia di mercoledì potrebbe non ripetersi
altrettanto inesorabile.
Non
andrà così.
Rapidamente,
il terremoto si sta già trasformando in una sagra nazionale... e
senza contare l' improponibile suggerimento della G. Meloni
(ved.
qui), sì, la “capa” e ( ... vabbeh!) dei “Fratellini
d'Italia”, così abili a gestire e a spartirsi comode poltrone, ma
solo nel proprio interesse e non certo a favore dei cittadini e di
qualche “fesso” che l'ha votati (per fortuna sempre di meno), anche laddove invero
risulterebbe davvero improponibile (ved.
Qui).
Domenica
prossima andremo tutti da Slow Food o nei locali associati a farci
dei bucatini all' amatriciana, visto che per ogni euro di guadagno il
ristoratore ne girerà un altro a sostenere i terremotati.
I
più sensibili faranno un brindisi alla memoria di chi non c' è più.
Sagrantino
o Montepulciano d' Abruzzo?
E
chissà se il primo disco per raccogliere fondi e cantare le lodi al
nostro popolo eroico e afflitto che ha già rialzato la testa questa
volta lo farà la Pausini o Jovanotti; comunque siamo pronti tutti a
comprarlo e ad andare al concerto.
Su
autorevoli giornali, firme davanti alle quali mi inchino ossequioso
si sono cimentate perfino nell' elogio del sisma, che formerebbe i
caratteri; con tanto di esempi che poco hanno da invidiare ai
deliranti scritti a favore della guerra che forgia gli uomini e
tempra i popoli che fiorivano in Italia all' inizio del 1915.
La
tragedia umanitaria come tappa indispensabile per diventare veri
uomini.
Ma
per capire cosa significa davvero questo terremoto è forse più
formativa la lettura dei giornali stranieri, ossessionati dalla
medesima domanda: perché solo in Italia un sisma di 6.0 gradi d'
intensità Richter equivale a un bombardamento a tappeto?
Si
dirà: paghiamo il prezzo della storia, il Centro Italia è un museo
a cielo aperto.
Ma
anche questa è solo retorica, visto che sono venute giù scuole
costruite con criteri antisismici nel 2012 e orride palazzine anni
'50.
In
un eccesso di ottimismo e per tirare su il morale della truppa, esponenti del governo si sono spinti a dire che oltre a essere un
dramma il terremoto può anche rivelarsi un volano per l' economia,
cosa da non sottovalutare in questi tempi di scarsa crescita.
E
guai a chi si fa venire in mente l' imprenditore che "rideva nel
letto" ai tempi dell' Aquila ipotizzando futuri guadagni da
ricostruzione.
Un
conto è il privato, altro il pubblico: la differenza in fondo è
tutta qui, ma vuoi mettere?
E
guai anche a chiedersi: ma se la ricostruzione è questo immenso
business perché non ci siamo buttati prima nell' altrettanto grande
affare della prevenzione, che peraltro ci avrebbe risparmiato la
seccatura di ripulire i villaggi e trovare le tende dove alloggiare i
nuovi profughi.
Già,
perché adesso i terremotati senza tetto hanno preso a chiamarli
così.
Poco
male, significa che per distinguerli dagli italiani, che sulle case
cadute, quasi tutte seconde, hanno pagato doppia Imu, gli
extracomunitari spesati in hotel cominceremo a chiamarli
villeggianti.
Dulcis
in fundo: i vigili del fuoco che generosamente chiamiamo eroi, hanno
il contratto scaduto da sette anni.
A
qualcuno importa qualcosa?
Promuoviamoli
a super eroi, forse si accontenteranno.
Di
Pietro
Senaldi e poco poco di me...